Commercio / La protesta

I negozianti del centro di Trento: «Siamo ormai allo stremo, Covid ci ha messo in ginocchio»

Esercenti esasperati: “L’anno scorso aveva un senso, adesso è un liberi tutti e vincono solamente i soliti furbi”

di Barbara Goio

TRENTO. «Sono tutti aperti, tranne noi». Così Raffaele Pedrotti, titolare di un negozio di calzature in centro e nel direttivo di Federmoda sintetizza questa situazione surreale: zona rossa conclamata da due settimane e per un'altra in arrivo, e le strade della città con un bel po' di gente che comunque entra negli esercizi rimasti aperti grazie al codice Ateco particolarmente favorevole.

Perché quella è la discriminante, se si rientra nelle categorie merceologiche "di prima necessità" allora si può aprire, altrimenti no. Ma la burocrazia ci ha messo del suo e così ci sono negozi in cui vendono tutine per bambini ma poi i clienti se ne vanno via con bigiotteria, e altri in cui scarpe e vestiti sono vietati, via libera a gioielli, mutande e costumi da bagno, mentre altre vetrine restano rigorosamente serrate.

«Siamo allo stremo, non ce la facciamo più, psicologicamente e anche fisicamente.» Monica Demattè è esasperata. E spiega: «In queste attività noi ci abbiamo messo tutto, tempo, famiglia, dedizione, impegno, è la nostra vita. La salute viene al primo posto, ovviamente, e noi abbiamo fatto gli investimenti necessari per pulire e igienizzare, ma gli affitti sono altissimi, e la merce resta negli scatoloni. Siamo disperati».

Il tam tam l'altra sera è corso veloce tra i cinquanta negozianti del centro storico che, di fronte al prolungarsi della zona rossa, hanno deciso di scendere in strada per protestare. Ieri mattina si sono dati appuntamento in via Diaz per cercare di fare fronte comune contro quella che secondo loro è una vera ingiustizia.

«L'anno scorso - spiega Eva Nicolodi, titolare di "Amanito" - abbiamo chiuso tre mesi, ma erano tutti chiusi. Era l'inizio della pandemia e bisognava reagire. Quest'anno è tutto diverso e sembra davvero che vangano premiati i furbi. Per questo negozio ho fatto tanti sacrifici, non ho potuto seguire le mie figlie come avrei voluto, e adesso rischio il fallimento, non perché abbia sbagliato qualcosa, ma perché ci viene imposto. Non vogliamo la carità ma solo poter lavorare».

«Io ho due negozi, uno a Trento e l'altro a Rovereto - aggiunge Danilo Valandro, titolare di Pull Love - ma adesso ho dovuto chiuderne uno, la situazione è disperata». «Non c'è più niente, neppure da distruggere - gli fa eco Ana Duia - mi hanno aumentato l'affitto e la banca si è presa la rata del finanziamento. Davvero non ci resta più niente».

«Il problema - rimarca Andrea Grigoli - è che il nostro è un settore stagionale: mi è arrivata tutta la merce per la primavera, che ho pagato, ma che ora rischia di restare invenduta perché nel frattempo i clienti o si rivolgono ai negozi che per qualche strano motivo sono aperti, oppure ordinano on-line».

Riprende Ivan Anesi, del negozio Paranà: «Ci trattano da untori, mentre i nostri negozi sono sicurissimi: si entra pochi alla volta, ci si disinfetta le mani e tutti sono controllati. Abbiamo speso per metterci in regola, ed ora non serve a nulla. Che non mi dicano che dobbiamo stare chiusi per evitare gli assembramenti, perché in città di gente in strada ce n'è parecchia».

Gianni Gravante, vicepresidente nazionale Federmoda, è preciso: «Questa differenziazione merceologica crea un'enorme disparità. L'anno scorso c'era il lockdown, ora è un liberi tutti, ed è per questo che nascono queste proteste spontanee. Lunedì prossimo ci incontreremo davanti alla Provincia per chiedere interventi a nostro sostegno, dai contributi per gli affitti a qualche deroga in nome dell'autonomia. Dobbiamo farci sentire».

«Intanto - riprende Maria Rosa Perissinotto di "Store 67" - ogni giorno andiamo in negozio, per controllare l'on-line e fare quello che si può. Siamo al limite, abbiamo esaurito ogni risorsa, adesso non ce la facciamo proprio più».

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