«Non sopporto più mia moglie: posso usare il camper?» Due mesi di lockdown raccontati dalle 20mila chiamate alla polizia locale. Ecco le scuse più esilaranti

Un centralino rovente, ventimila telefonate, domande di ogni tipo, anche le più strampalate, ma anche richieste di aiuto, bisogno di essere ascoltati e rassicurati, e tanta solidarietà per il lavoro svolto. Qualcuno, mandava pure le brioche agli agenti.

Sono i due mesi di lockdown da pandemia, raccontati da un osservatorio particolare, quello della polizia locale di Trento. Sono storie di gatti, sementi, fidanzati e borsette .

«Se qualche volta, nelle giornate drammatiche di isolamento imposte dal Coronavirus, è affiorato un sorriso - scrive palazzo Thun - lo si deve anche alle scuse inverosimili o alle domande strane, curiose, improbabili arrivate agli agenti. Dietro a ogni quesito c’è una storia, un’urgenza del tutto personale che non accettava di essere rinviata neppure dalle misure imposte per contenere il rischio contagio».

Di seguito, un piccolo spaccato delle migliaia di casi – oltre 20 mila le telefonate tra marzo e fine aprile - arrivati all’attenzione della polizia locale.

  • Una ragazza ha chiesto se per il fine settimana si poteva ricongiungere con il suo fidanzato che abita in altra regione. Alla risposta negativa la ragazza ha  commentato che la normativa doveva lasciare che i fidanzati si incontrassero. Altrimenti, se in questo periodo le coppie finiscono per sfasciarsi la colpa è del Governo.
  • Una signora ha chiesto se da Meano poteva andare a comperare il mangime per le galline in un determinato negozio a Mattarello perché con quella tipologia di mangime le uova sono più grosse e più buone. Stessa cosa per le crocchette del gatto: quelle sotto casa non piacciono al felino.
  • Una signora voleva andare a fare la spesa in un supermercato lontano da casa perché quello vicino è un discount e non ha la pasta della marca preferita.
  • Tanti anziani hanno chiesto di poter allontanarsi da casa per prendere sementi e piantine per l’orto, perché «adesso è il momento giusto, poi è tardi».
  • Un signore di Martignano ha chiesto se poteva andare a Cimone a prendere la bombola del gas perché lì costa meno.
  • Una signora di Mattarello ha chiesto se poteva andare a dar da mangiare a un gatto randagio in Valsorda. Ha assicurato di essere a conoscenza degli orari in cui l’animale si faceva trovare in piazza.
  • Una signora che ha chiamato allarmata perché i poliziotti avevano preso i suoi documenti con i guanti che potevano essere pieni di virus.
  • Una signora residente in centro storico sanzionata vicino a un centro commerciale di Trento Nord mentre vagava alla ricerca di una borsetta da acquistare: in pieno lockdown, non aveva idea che i negozi fossero chiusi.
  • Un signore ha chiesto se poteva portare il suo gatto in Bondone a prendere aria perché faceva bene alla sua salute.
  • Un signore ha chiesto di poter andare a piedi nel parcheggio dei camper per poter trasferirsi per alcuni giorni in quanto non sopportava più la moglie.



Sono state poi più di ottomila persone controllate, circa quattrocento sanzionate. E ancora: 2000 esercizi pubblici controllati e cinque multati per qualche irregolarità. Dal 9 marzo, giorno in cui l’Italia è diventata di fatto un’unica zona rossa, fino allo scorso 30 aprile, la polizia locale di Trento ha cambiato completamente la propria attività: con la città paralizzata e chiusa per virus, gli agenti si sono dedicati quasi esclusivamente a vigilare perché le norme emanate per contenere il diffondersi del contagio fossero comprese e rispettate dai cittadini.

«Abbiamo lavorato e stiamo tuttora lavorando per conto dello Stato, per la polizia locale è un fatto di portata storica – spiega il vicecomandante Luca Sattin – Anche il corrispettivo delle sanzioni lo inviamo a Roma».

I numeri dei controlli e delle telefonate certo dicono poco dell’impegno e della fatica di queste settimane difficili («l’adunata degli Alpini, in confronto, è stata una passeggiata»), settimane in cui, come racconta il funzionario Pierangelo Vescovi, sia gli agenti sul territorio sia quelli della centrale operativa sono stati sottoposti a uno stress fuori dal comune: «I nostri operatori hanno dimostrato una grande capacità di dare informazioni e rassicurare anche chi, talvolta con arroganza, imputava a noi le storture o le lacune dei provvedimenti».

Ogni operatore di centrale, come riferisce la coordinatrice Milena Innocenti, ha risposto anche a centoventi telefonate al giorno: «Ascolto, comprensione del problema, ricerca di una soluzione: ogni caso è stato attentamente valutato alla luce di regole che tra l’altro cambiavano spesso. La sera, via whats app, si condivideva tra gli agenti la nuova ordinanza e la si studiava a fondo, per essere pronti a rispondere la mattina dopo. A chiamare erano spesso persone prostrate e in uno stato di disagio. Abbiamo avuto gente che piangeva e che cercava qualcuno con cui sfogarsi, anziani destabilizzati dal fatto che dovevano cambiare le loro abitudini. Sì, qualche volta siamo stati anche un telefono amico».

Sul territorio la pressione non era molto diversa, tra segnalazioni di cittadini, paura, diffidenza. Anche se, com’è naturale, a salire alla ribalta della cronaca sono state le sanzioni, il lavoro della polizia locale aveva ben altre finalità. Riassume Vescovi: «Gli agenti avevano un mandato preciso: quello di tener conto che la situazione è stata ed è davvero pesante per tutti e per tanti motivi diversi. Non a caso le persone controllate sono state numerosissime, quelle sanzionate poche». A fare due conti, tra inizio marzo e fine aprile meno del 5 per cento.

«Gli agenti sono stati bravi nel dare informazioni all’utenza in maniera assertiva – spiega il coordinatore Stefano Simonini - L’obiettivo non è mai stato quello di applicare la sanzione, ma di evitare spostamenti ingiustificati. Certo, nel gran numero di controlli, può esserci stata qualche interpretazione errata. Per questo abbiamo sempre dato anche le indicazioni per fare ricorso».

«Sanzionare i cittadini a volte può essere un dramma», assicura il comandante Lino Giacomoni, per questo il lavoro di informazione e di rassicurazione è stato sempre preponderante. Non è dunque un caso se, come riferisce Paolo Sega, agente da sempre sul territorio, «in strada il 99,9 per cento delle persone è stata collaborativa e ha reagito bene». A volte, continua l’agente, «abbiamo fermato anche medici e infermieri: appena ce ne accorgevamo, cercavamo di farli andare più veloci, e loro ci ringraziavano». E quando è scattata la multa perché la violazione alle norme era palese e consapevole, più di qualcuno ha ammesso: «Sapevo di rischiare».

Nonostante la sanzione pesantissima, le reazioni aggressive sono state davvero poche. Nei giorni “caldi” del lock down, con il numero dei casi e dei morti per Coronavirus che continuava a crescere, la polizia locale ha anzi sperimentato un sostegno inedito: «Una pasticceria ci mandava le brioches la mattina, la volontaria di un’associazione ci ha regalato un pacco di mascherine. Non era mai capitato prima – racconta ancora Pierangelo Vescovi – Poi c’è stata un’azienda che ha sanificato gratuitamente i nostri mezzi. Ci ha fatto molto piacere anche ricevere la lettera di un medico del Santa Chiara che ha ringraziato per il nostro lavoro e ci ha detto: continuate a far rispettare le regole, per noi è molto importante».

Un momento di calma irreale in tutti questi giorni? «Il venerdì Santo, quando in tv c’era il Papa da solo in piazza San Pietro – racconta Simonini – I telefoni all’improvviso sono ammutoliti e le strade erano più deserte di sempre. Sarà stata una coincidenza, ma la città si è fermata come quando gioca l’Italia ai Mondiali di calcio».

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