Dai negozianti del centro tante vetrine accese per chiedere di ripartire

di Zenone Sovilla

Serrande alzate, luci accese ma porte sempre chiuse a chiave, nei negozi, bar e ristoranti del centro di Trento che ieri sera (fotoservizio Alessio Coser) hanno aderito alla mobilitazione contro il protrarsi del divieto previsto dal governo. «L'impressione è che i piccoli negozi siano stati dimenticati. L'ultimo dpcm prolunga le chiusure fino al 18 maggio, una prospettiva insostenibile», spiega Claudio De Lorenzi del Patagonia Store Sherpa3, a due passi dal Duomo di Trento. Perciò ieri, dalle 21 alle 21.30, gli esercenti hanno illuminato e presidiato i negozi, nel completo rispetto della legalità, per lanciare un grido di dolore. Una sorta di flash mob per dire che ripartire subito e in tutta sicurezza è possibile. «Ormai siamo allarmatissimi: per noi il lavoro è come spingere un carro in salita, se ti fermi quello torna indietro e ti schiaccia. È urgente ricominciare a spingere quel carro ma ho la sensazione che la politica non lo comprenda. Oltretutto, questo blocco significa anche niente flusso di imposte per lo Stato, posti di lavoro persi, danni all'intero sistema economico, depressione. Ci hanno proposto l'accesso agevolato al credito, come risposta alla crisi; ma indebitarsi non è certo una opzione per i piccoli commercianti, sarebbe come mettersi un cappio al collo. Ci servono sostegni a fondo perduto e soprattutto la fine di questo stop, che ormai dura da quasi due mesi. Temo che alla fine il disastro economico possa fare più danni dell'epidemia», prosegue De Lorenzi, che ha organizzato l'iniziativa ieri, con il passaparola fra colleghi. «Abbiamo un altro negozio a Courmayeur e ho saputo che là i commercianti hanno protestato già lunedì sera, così ho pensato di replicarla a Trento. Nel frattempo ho saputo che partiva pure una catena nazionale», racconta.

«Qui in centro siamo in tanti piccoli negozi: abbigliamento e altri settori, anche quelli che potranno aprire solo in giugno, come parrucchieri, bar, ristoranti. Tutte realtà pronte invece ad assicurare il servizio con tutte le precauzioni sanitarie. Mi chiedo come mai si possa stare in coda al supermercato, magari decine di persone, mentre in un negozietto dove si entra al massimo un paio alla volta, con mascherine e guanti, si ritiene sia troppo. È anche una questione sociale, la gente vuole tornare a passeggio fra le vetrine: in sicurezza, con attenzione, si può fare. Certo, ci piacerebbe che le regole fossero poche e chiare, invece c'è un'enorme confusione. Si prevede persino la sanificazione di un capo di abbigliamento dopo ogni prova: come si fa? E intanto c'è lo spettro della disoccupazione, i dipendenti in cassa integrazione aspettano ancora le somme per marzo (salvo quando lo anticipano i datori di lavoro), non abbiamo ancora conferme per aprile sul credito d'imposta del 60% sugli affitti pagati con i locali chiusi», s'inalbera De Lorenzi.
Gigi Andreis di Raccolta Differenziata (abbigliamento e accessori in via Malpaga) sottoscrive tutto e aggiunge: «Siamo prontissimi a praticare misure rigide per una ripartenza progressiva, cominciamo pure con accessi contemporanei molto ridotti e orari modificati, per poi assestarci via via nel corso di un paio di mesi. Senza rischi, ma bisogna muoversi, è anche un'esigenza della collettività: i cittadini vogliono riprendere la vita, con la cautela che abbiamo già dimostrato e che possiamo garantire per le prossime settimane».

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Covid, vetrine accese a Trento, i negozianti chiedono di riaprire

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