Il caso

«Macché botte, eravamo d'accordo»: lei lo accusa di averlo maltrattato, lui mostra le chat

L'uomo è stato condannato ad un anno e otto mesi sia in primo grado che in appello, ma la Cassazione ha accolto il ricorso del difensore: il processo si riapre. Per i giudici romani le prime sentenze sono basate solo sul racconto dalla donna. Ma i messaggi fra i due, conservati dall'ex, la smentirebbero

ROVERETO. Sia in primo grado che in appello è stato condannato per maltrattamenti alla sua (ora) ex ma la corte di Cassazione ha annullato la sentenza e ha ordinato un nuovo giudizio. E questo grazie anche alle chat fra lui e la donna che non erano state cancellate. Materiale che è stato utilizzato dal suo legale per preparare il ricorso e che è stato dirimente per instillare il dubbio nei giudici romani.

Che da quelle conversazioni hanno dedotto che l'attendibilità della donna - che ha denunciato l'uomo e si è costituita parte civile - non sarebbe così cristallina come stabilito nei due precedenti gradi di giudizio. Una vicenda dove le verità raccontate dalle due parti non coincidono mai e quindi la credibilità di lei ha avuto un peso specifico importante nelle sentenze che avevano condannato l'uomo ad un anno e otto mesi.

Ma facciamo un passo indietro per ricostruire la storia dove oltre alle accuse di lei c'è la spiegazione di lui che passa attraverso il sesso violento (ma consenziente) e rapporti a tre. I due sono una coppia di adulti che ha una relazione sentimentale.

Tutto procede nella normalità fino a cinque anni fa quando lui - è il racconto fatto dalla donna - la schiaffeggia con forza per un motivo banale. Passano alcune settimane e lei è di nuovo vittima della violenza del suo compagno che la scaraventa contro un muro. Aggressioni che proseguono e che non sono solo fisiche ma anche psicologiche con lei che sarebbe stata sminuita, annullata.

Un'odissea, quella della donna durata poco meno di un anno fino a quando non ha interrotto la relazione e denunciato l'uomo. Con tanto di foto delle ecchimosi, a testimonianza delle violenze subite.In primo grado, a fronte di una richiesta di due anni e quattro mesi fatta dalla procura, l'uomo viene condannato ad un anno e otto. Sentenza confermata in appello. Ma il caso è arrivato fino alla Cassazione e il finale è stato diverso. I giudici della massima corte hanno analizzato il ricorso presentato dal legale, trovandolo fondato.

«La corte d'appello - si legge - ha confermato la responsabilità dell'uomo sulla base essenzialmente di quanto narrato dalla parte offesa. Un racconto ritenuto preciso, dettagliato, privo di significativi elementi di contrasto». Attendibilità che secondo i giudici romani «non regge il peso delle censure prospettate nel ricorso». Il riferimento è ai numerosi messaggi fra i due. La corte d'appello, secondo la Cassazione avrebbe dovuto tenere conto anche degli elementi valorizzati dal difensore.

Quali sono? I giudici li riportano in sentenza: «Le richieste della donna, assecondate dall'uomo, di intrattenere rapporti sessuali "violenti" anche con il coinvolgimento di altri uomini. Le manifestazioni di sentimenti di affetto e di amore che la donna esternava anche mediante l'invio di foto e messaggi provocatori e dal tenore scherzoso».

Messaggi che i due si sono scambiati nel periodo in cui la donna sarebbe stata vittima della violenza fisica e psicologica dell'uomo, Infine un riferimento alle ecchimosi riprese nelle fotografie allegate alle denunce, segni che secondo la difesa dell'uomo sono stati provocati dalla tipologia di rapporti intimi.

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