Natale / Ecologia

Il clima cambia, non si trova più vischio nei boschi. Parola di esperto, l’uomo che lo vende dal 1968

Sergio Baroni, con il suo banchetto su Corso Rosmini a Rovereto, è erede di una tradizione. «Ma i boschi sono sempre meno. Ad esempio in Val di Non, dove li estirpano per piantare meleti»

di Giancarlo Rudari

ROVERETO. Il vischio, uno dei simboli delle festività natalizie e di Capodanno, sta diventando una rarità. Infatti anche la pianta cespugliosa che cresce sui tronchi degli alberi deve fare i conti con i cambiamenti climatici, con alcune specie di uccelli sempre meno diffuse, con il taglio dei boschi per fare spazio a terreni utilizzati in agricoltura... «Il mondo cambia e anche il vischio, diciamo così, ne paga le conseguenze. Per fortuna che nel corso degli anni ho imparato a coltivarlo nel mio terreno e così riesco ancora a rinnovare questa lunga tradizione di famiglia...».

Sergio Baroni, 78 anni, ex giardiniere del Comune, è un'istituzione in città. Non fosse altro per il suo "mercatino del vischio" (probabilmente l'unico in Trentino) che da quasi sessant'anni magicamente compare su corso Rosmini all'angolo con via Stoppani ad ogni inizio dicembre.

E con il vischio sulla bancarella di Baroni si trovano rami di agrifoglio e di pungitopo oltre che a ceppi natalizi e muschio per il presepe. Una tappa obbligata per roveretani e turisti, un punto di riferimento del Natale in città dal 1968, «ma direi ancora prima fin da quando appena bambino andavo con mio padre nei boschi sullo Scanuppia, di Passo Buole o financo in Val di Non a raccogliere rami di agrifoglio e di vischio. Tempi passati che ovviamente non si ripetono più. Anche perché le attività umane influenzano sempre più il clima e la temperatura sulla terra con le conseguenze che nel mio piccolo mi trovo ad affrontare. A parte l'età, che non mi consente più di arrampicarmi sugli alberi (e se la ride ndr) come facevo negli anni Sessanta e Settanta a Mattarello e Acquaviva, il vischio, quello specialmente sulle conifere, non lo trovi quasi più. Le cause - spiega Baroni - sono le più disparate: dalle temperature sballate alla processionaria che sta distruggendo molti boschi, da alcune specie di uccelli "impollinatori" (come le cinciallegre e le gardene, ad esempio) che non si vedono quasi più, fino all'opera di disboscamento da parte dell'uomo per trasformarlo in meleto o vigneto. Tutti questi elementi concorrono a rendere il vischio una merce sempre più rara. Lo ho verificato quando sono voluto tornare in Val di Non, nei luoghi "storici" dove il vischio abbondava: piante di melo e filari di viti hanno soppiantato le conifere che rappresentavano la nostra riserva naturale».

E il vischio che lei ogni anno, sfidando freddo, pioggia e neve, propone al suo mercatino, da dove arriva? «Arriva dalle piante, di pero, di melo, di sorbo o di betulla che ho piantato a Lizzanella e a Lizzana sulle quali innesto le bacche: prima però di poter raccogliere i rami che vede qui devo attendere sei-sette anni. Tanta pazienza ci vuole, ma mi sembra di poter dire che i risultati sono buoni...» afferma Sergio Baroni con un sorriso pieno di meritato orgoglio.

Un sorriso che nasconde anche un filo di nostalgia per i tempi passati, per i tempi delle "vasche" su corso Rosmini «dove ci si conosceva tutti, dove sbocciavano anche i primi amori, dove le coppie compravano il vischio, simbolo di fertilità, da appendere alla porta e sotto il quale baciarsi augurandosi un matrimonio prosperoso. Vabbé, qualche rimpianto del passato ci sta, ma non facciamo i lamentosi... Pensi che c'è chi da decenni ogni anno passa al mio mercatino: da bambino con la nonna ora si ritrova adulto con famiglia vuole continuare una tradizione che resiste alla sfida dei cambiamenti climatici. Resisto anch'io, non vuoi che resistano vischio e agrifoglio?» conclude con un sorriso Sergio Baroni alla soglia degli ottant'anni.

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