Musica / L’artista

La cantautrice roveretana Ginevra Battaglia: «Canto e sogno i Suoni delle Dolomiti»

Figlia dell’attore Giovanni Battaglia, la giovane si racconta: «Il mio nome d’arte è un tributo alla memoria d’infanzia: mio padre mi faceva ascoltare l’omonima canzone. A Milano raccolto i mazzi di fiori che scartano i fiorai e li regalo a chi mi sembra triste»

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di Laura Modena

ROVERETO. Milanese di origini roveretane, Guinevere - nome d'arte di Ginevra Battaglia - debutta in questi giorni con il suo primo disco, "Running in circles". Musicista, attrice e performer, Guinevere ha nel sangue il sacro fuoco dell'arte.

Figlia di Giovanni Battaglia, famoso attore roveretano, muove i suoi primi passi nel mondo della musica in tenera età. A sette anni inizia lo studio del violoncello e del pianoforte, a quindici esplora la dimensione del teatro studiando all'Accademia Grock di Milano. Poi i seminari di recitazione in Scozia, la sperimentazione del musical in Gran Bretagna e le prime performance in Italia, fino alla partecipazione alla mostra itinerante "Il museo della follia" di Vittorio Sgarbi. Contemporaneamente Guinevere definisce la sua poliedrica visione artistica: la musica, forma espressiva principale, si fonde con il teatro, la fotografia, la scultura. Nei suoi video scorrono immagini eteree, lievi, atmosfere senza tempo, dove i corpi sembrano non avere peso, tra luci e sfumature impalpabili.

Immagini e suoni, colori e luci si corrispondono in un'unità perfetta, richiamata da una delle famose sculture ad anello di Mauro Staccioli sulla copertina del disco. Anche l'ordine dei brani riflette un ascolto circolare: l'ultimo pezzo rievoca il primo, per chiudere la prima spira e poi ricominciare a scendere, in una ricerca senza fine alla scoperta di sé e del mondo. Il suo genere? Pennellate di new folk e rock mescolate a richiami al pop e alla classica. Un suono intenso e avvolgente che ci conduce verso un viaggio intimo e introspettivo, eppure vivido e luminoso.

Lei si presenta al pubblico come Guinevere, versione inglese-celtica di Ginevra, che già di per sé evoca atmosfere medievali, mondi magici, boschi, fate. Le stesse atmosfere che ritroviamo nella sua visione artistica. Nomen omen, il destino nel nome?
«Sì, in effetti ho riflettuto a lungo su quale nome dare al mio progetto. Non volevo nomi artefatti che si allontanassero dalla persona che sono. Innanzitutto devo dire che il mio nome di battesimo mi corrisponde, io mi sento assolutamente "Ginevra". Però scrivo in inglese e il mio desiderio è quello di far uscire la mia musica dai confini italiani, quindi volevo un nome adatto alla dimensione internazionale. Poi i pensieri si sono intrecciati ai ricordi della mia infanzia. Quando ero piccola sognavo già di fare la cantautrice e mio padre mi cantava la canzone "Guinevere" di Crosby, Stills, Nash & Young. Si accompagnava con la chitarra e mi diceva: "Tu sarai Guinevere". Quindi in qualche modo mio padre mi ha battezzato artisticamente, il nome d'arte era già scritto».

Nell'immaginario che lei propone emerge la bellezza della natura. Eppure è cresciuta in una metropoli come Milano.
«In realtà ho trascorso gli anni della mia infanzia in Toscana, in un borgo immerso nella natura vicino a Pisa. Il contatto con gli elementi naturali più puri e selvaggi mi ha senz'altro ispirata. Ho deciso di tornare a Milano al tempo del liceo, per uscire dalla dimensione del paese che sentivo troppo stretta. Ma poi il destino mi ha riportato alle mie radici trentine. Ero alla disperata ricerca di un producer che mi aiutasse a esprimere al cento per cento la mia visione artistica e l'ho trovato in Matteo Pavesi, produttore di musica indipendente di Trento. Un'amica comune mi spingeva a contattarlo, ma io non mi sentivo all'altezza. Invece poi si è verificata una incredibile coincidenza. Ho saputo casualmente che lui era per un periodo a Bologna, proprio quando ero lì anch'io, così mi sono fatta coraggio e gli ho scritto».

"Lettera agli artisti" di Giovanni Paolo II, cosa ne pensa? L'artista di oggi può ancora parlare al mondo?
«Assolutamente sì, lo credo fermamente. Un semplice esempio: mi capita a Milano di vedere per strada mazzi di fiori gettati nella spazzatura dai fiorai, perché magari non più perfettamente freschi. Allora io li raccolgo e li regalo alle persone che incontro per strada e che mi sembrano tristi. Questo semplice gesto cambia la loro faccia. Se anche soltanto un fiore può cambiare lo stato d'animo di una persona, io credo che un atto artistico possa fare un'enorme differenza. Più del mio personale appagamento ciò che dà senso al mio progetto è arrivare alle persone e chiudere il cerchio con il significato profondo della condivisione».

Quali sono i luoghi privilegiati delle sue esibizioni?
«Ho iniziato da poco a espormi e sto scoprendo che amo tornare dove sono nata. Letteralmente. Mi piace ricordare che io sono stata concepita nel camerino di un teatro, quindi esibirmi sui palcoscenici teatrali mi fa sentire in un certo senso protetta. E poi c'è la natura, la scenografia ideale delle mie esibizioni. Ho sentito parlare spesso del festival "I suoni delle Dolomiti", so che hanno partecipato artisti importanti. Chissà che un giorno io non riesca ad esibirmi tra le montagne del Trentino, sarebbe un nuovo ritorno alle mie origini».

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