All'ospedale di Rovereto contagiato il 5% del personale

di Luisa Pizzini

«Ad oggi solo il 2,93% del personale aziendale è risultato essersi ammalato per Covid 19». Il direttore sanitario dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari Pier Paolo Benetollo , già direttore del S. Maria del Carmine, parte da questo dato per raccontare il “dietro le quinte” dell’emergenza sanitaria. Una percentuale sulla quale probabilmente i veritici dell’Apss avrebbero messo la firma quando tutto è cominciato. Non era per nulla scontato infatti che le procedure di sicurezza, messa a punto in poche ore prima del primo paziente, avrebbero funzionato.
«Diverse rilevazioni compiute in sede nazionale (fra cui Università Cattolica di Roma e Fondazione Gimbe) hanno evidenziato che il Trentino è fra le regioni (o provincie speciali) che hanno effettuato più tamponi per abitante in Italia. E possiamo dire che le misure adottate per proteggere il personale (e quindi i cittadini) si sono dimostrate molto efficaci, tanto che ad oggi solo il 2,93% del personale aziendale è risultato essersi ammalato per COVID 19».

«Fin dall’inizio della pandemia in Trentino si è deciso di effettuare il tampone nasofaringeo a tutto il personale sanitario, asintomatico, che era stato a contatto con un caso dopo 5 giorni dall’esposizione» spiega Benetollo. «A metà marzo in poche altre regioni questo veniva effettuato e in alcune addirittura il personale malato con sintomi lievi era previsto continuasse a lavorare». Ad aprile poi il tampone, che rivela in modo abbastanza attendibile la posivitià di un soggetto al coronavirus, «è stato effettuato a tutto il personale che passava da reparto Covid a reparto non-Covid». L’obiettivo successivo, dal 21 aprile, è stato quello di «effettuare il test sierologico a tutto il personale operante in Apss, a partire dai reparti Covid ancora operanti».

Ma che cosa hanno rivelato questi test? «Al termine di questa prima ricognizione sul personale dei reparti a maggior rischio è risultato che era stato a contatto con il virus il 5% del personale. Tutti gli operatori positivi sono stati testati con il tampone e a Rovereto è stato individuato 1 solo operatore positivo». Ciò significa che tra tutto il personale ospedaliero che si è sottoposto al test, soltanto una persona in quel momento poteva trasmettere il coronavirus.
«A livello aziendale complessivo - continua il direttore sanitario - la prevalenza di tamponi positivi dopo lo screening con test sierologico quantitativo (effettuato per tutta l’azienda nel laboratorio di Rovereto) per IgM e IgG è risultata dell’1 per mille: questo è il tasso degli operatori rilevati con lo screening, cioè degli operatori che erano asintomatici e non si sarebbero potuto individuare con altri metodi».
Proprio come per il numero di contagiati in provincia, non è sempre stato facile interpretare i numeri che raccontavano la pandemia in questi mesi. Del resto Provincia ed Apss si sono trovate anche a cambiare strategia in corso d’opera.

«L’Azienda e la popolazione trentina possono essere orgogliose del proprio personale sanitario che, pur in una fase di tremenda difficoltà e angoscia, che già oggi rischiamo di dimenticare, è riuscito ad agire con professionalità, a seguire le procedure, a proteggere se stesso e quindi la possibilità di curare efficacemente i malati. Basti pensare che fra gennaio ed aprile nel 2019 le assenze per malattia sono state complessivamente 3.566, e nello stesso periodo del 2020 sono state 3.471».

Anche a Rovereto, Covid center del Trentino, i numeri del personale contagiato sono incoraggianti. «Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio è stato eseguito un “primo round” di test sierologici per la ricerca di anticorpi anti SARS-CoV-2, su base volontaria, tra i dipendenti delle unità operative e servizi che prestavano assistenza ai malati Covid-19 positivi. Su un totale di 508 dipendenti aderenti, solo 26 operatori (5,1%) hanno dimostrato aver avuto una risposta anticorpale al virus». Soltanto cinque su cento operatori del Santa Maria del Carmine, dunque, hanno contratto il Covid-19. Stiamo parlando però - è bene precisarlo - di dipendenti che hanno accettato di sottoporsi a questo tipo di indagini, non della totalità. «Di questi 26, solo 1 operatore (0,2% del totale) è stato dimostrato in grado di trasmettere il virus (tampone naso-faringeo positivo)» conclude Benetollo.

In questi mesi ne abbiamo sentite tante: forse si potevano fare più tamponi nella fase iniziale per rassicurare chi si è trovato a lavorare a stretto contatto con un virus che fa paura. Ma mancavano reagenti per poterli fare. Forse si poteva fare meglio, ma non c’erano certezze sulla strada migliore da seguire. Questi numeri parlano comunque di un contagio molto contenuto, almeno tra chi si è sottoposto ai test. Ma la guardia resterà alta, almeno in ospedale.

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