Sgarbi: «Non è colpa mia se Maraniello se ne va, però capisco, sono difficile»

di Matthias Pfaender

«Non c’è nulla di ufficiale sul prossimo addio di Maraniello al Mart. Quindi non posso dire nulla. Tranne che ribadire la stima professionale e l’affetto personale». Il giorno dopo la notizia della fuoriuscita, nel maggio del 2020, per scadenza di contratto, del direttore del Mart Gianfranco Maraniello, il presidente del museo Vittorio Sgarbi da un lato rinnova i consueti elogi al collega, dall’altro mette in chiaro: «Non dipende da me».
Almeno non direttamente. «Si tratta eventualmente di una sua decisione, che posso ipotizzare poggi su due ordini di motivi. Primo: l’essersi reso conto che il Trentino, pur con tutte le sue positività ed eccellenze, è comunque periferia, e credo sia logico che un professionista alle soglie dei 50 anni ambisca ad un ruolo, che Maraniello merita, da protagonista in città come Milano o Roma. Dall’altro posso capire che la mia presenza sia ingombrante, e che per forza di cose il rapporto con un nome pesante come quello di Sgarbi possa creare del disagio».
Disagio che non coinvolgerebbe peraltro il solo Maraniello. Perché in questi ultimi mesi del 2019 il Mart - ed anche il Trentino, presidente Fugatti in testa - sta capendo meglio cosa vuol dire avere a che fare con Sgarbi. Se da una parte guadagni in termini di visibilità sul piano nazionale, e sei investito da un treno di proposte, idee e progettualità, dall’altro sei costretto a correre come mai prima. Cosa che il Mart, evidentemente, non è (ancora) pronto a fare.
Un esempio concreto si sta verificando in questi giorni. Mercoledì prossimo a Cavalese sarà presentata una mostra di arte sarda. E sabato si inaugura, a palazzo delle Albere, una mostra su Tullio Garbari. Entrambe le esposizioni rientrano nell’obiettivo strategico di “esportare” le opere ed il marchio del Mart nel resto del Trentino (mission per la quale è entrato nello staff del museo l’ex senatore Franco Panizza). Ma entrambe le mostre, proposte da Sgarbi, hanno fatto andare in tilt la macchina. Troppo poco il preavviso, spiegano dai corridoi di Corso Bettini. Tanto che non è stato possibile realizzare e stampare i rispettivi cataloghi. Cosa che ha esasperato Sgarbi, che con i vertici del museo ha avuto più di un “acceso confronto”. «Quando ho chiesto conto del perché non si potevano avere i cataloghi mi hanno risposto che tutti i dipendenti erano impegnati in altri lavori che devono essere impegnati finanziariamente entro l’anno. Ma stiamo scherzando? Per una delle due mostre ho dovuto realizzare io il catalogo e farlo stampare a mie spese. Quindi quando sento che ci sono i sindacati che chiedono la stabilizzazione dei precari del settore cultura (altro articolo in pagina, ndr) ne prendo atto, ma vorrei anche capire cosa fanno davvero queste persone, e se si potrà iniziare prima o poi a lavorare con un altro piglio, magari più vicino a quello che si fa nel privato».
E in questo caso la critica è allargata a tutto il sistema trentino (Provincia e Trentino Marketing in primis) incapace, al momento, di girare ai ritmi imposti da Sgarbi. «Vogliono fare i numeri, avere riscontri? Avere tanti visitatori? E allora c’è da lavorare, adattarsi alla mia velocità di pensiero e azione. Per esempio: lo sanno in Provincia che in tutta Italia non c’è un manifesto sulla mostra sulla Duncan? Gli unici articoli importanti, sulla stampa locale come quella nazionale, li ho fatti io. Anche sull’Adige non c’è pubblicità della mostra. Ma il traino pubblicitario è necessario. Io ho fatto 90mila visitatori con la mostra sulla follia in un ambito ridotto come Lucca. Ma c’era stato uno sforzo comunicativo-pubblicitario importante». Cosa che le attuali mostre sul Mart, lamenta Sgarbi, non hanno.

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