Addio a Claudio Benedetti il batterista roveretano che suonò con tutti i grandi

di Chiara Zomer

Si è spento a 91 anni Claudio Benedetti. Se n’è andato in punta di piedi, perché pur avendo trascorso metà della vita sul palco, era uomo che non amava il clamore. E con lui se n’è andato un oceano di ricordi. Perché lui e la sua batteria sono stati ovunque. O per lo meno ovunque avesse un senso andare, se si amava la musica e la si sapeva fare come Dio comanda. E lui ne era capace. Ha suonato con i grandi, perché grande era lui stesso. Ha conosciuto il clamore e gli applausi. Ma amava anche la dimensione familiare, la sua Rovereto dov’è tornato e dove si è goduto gli affetti. Che ora lo ricordano con nostalgia: «La sua anima si è liberata dalla sua gabbia terrena, ormai stanca e annebbiata - si legge nel necrologio della famiglia - per spiccare il volo e tornare a brillare e ballare il tip tap sulle nuvole».

L’epopea di Benedetti, perché di questo si tratta, inizia quasi per caso. Quando nel 1944 arrivano gli americani a Mori, c’è pure un’orchestrina jazz. Per Benedetti, è una folgorazione. Cerca di assistere alle prove, ci riesce, si appassona. Non sa ancora che quella sarà la sua vita, ma capisce subito qual è l’oggetto di tanto entusiasmo: la batteria. Si procura dei tamburi e ci spinge sopra come un pazzo, in casa, e rischia pure di finire nei guai. Perché dove lui già vede musica, tutt’attorno sentono solo baccano. Ma alla fine lui impara a suonarla, la batteria. Impara abbastanza da cominciare a farla diventare un lavoro.

I primi ingaggi occasionali sono in orchestre come quella con Sergio De Cecchi (piano), Ennio Carretta (sax), Ciccio Vianello (basso) e il celebre fisarmonicista Germano Cavalet. Dopo un provino improvvisato (e fortunoso) entra nel «Quartetto Star», con Luciano Fumai (piano), Claudio Furlani (chitarra) e Marcello Mezzavilla (sassofono e violino). Tre anni più tardi, l’occasione vera: l’ingaggio alla «Terrazza dell’Odeon» di Milano. Da lì non si ferma più, e inizia a lavorare con i grandi nomi, come Macario e Dapporto, fino al botto vero: il tour in Spagna e Portogallo con Caterina Valente. È la consacrazione.

Da quel momento è un elenco ininterrotto di storie, concerti, eventi. Con qualche curiosità, come le lautissime mance garantite da Onassis, ospite del Palace Hotel di St. Moritz, nella cui orchestra Benedetti suona: l’armatore greco è conquistato dalla batteria del roveretano. E non fatica a mettere mano al portafiglio.
Di quel periodo, gli anni Sessanta, ci sono soprattutto i grandi nomi italiani: Lucio Battisti («incrociato» nel gruppo dei Campioni), e poi le sessioni con Sergio Endrigo, Umberto Bindi, Tony Renis, Nico Fidenco, Luigi Tenco, Giorgio Gaber, MIna, Enzo Jannacci. C’è il suo ritmo, ci sono le sue bacchette, dietro alle incisioni originali di capolavori come «Io che amo solo te», «Legata a un granello di sabbia», «La ballata del Cerutti», «Trano a gogò», «Stessa spiaggia, stesso mare».

L’approdo in Rai è quasi naturale. Nelle 1600 ore di registrazione della sua carriera, lavora con tutti. I maestri Pino Calvi, Enrico Simonetti, Lelio Luttazzi. E poi le commedie musicali, come si chiamavano allora. I titoli, sono una specie di promemoria della tradizione musicale italiana: «L’amico del giaguaro», con Gino Bramieri, Marisa Del Frate e Raffaele Pisu (1961), «La Trottola» con Corrado e Sandra Mondaini (1965), «Giochiamo agli anni Trenta»; con Giorgio Gaber. E ancora «Tigre contro tigre», «Hobbyamente», «L’assillo infantile» (1966), «La sveglia al collo» (1967). E poi ancora Don Lurio e le gemelle Kessler.

Torna a Rovereto negli anni Settanta, perché la mamma non sta bene e lui la famiglia l’ha sempre messa al primo posto. Ma continua l’attività musicale sia nelle commedie musicali della Rai, sia con l’attività concertistica, a ritmo di jazz. Chet Baker, Lee Konitz, Harold Danko, Mangelsdroff, Frank Foster, Dusko Goykovich, alcuni dei nomi che ha affiancato sul palco.
Nel frattempo si è fatto una famiglia, l’ha fatta crescere, L’ha amata moltissimo. E a sua volta è stato riempito d’affetto e ammirazione: «Claudio lascia a tutti noi le tracce luminose del suo ricordo, della sua musica e delle risate che in sua presenza non mancavano mai. Ora il cielo sarà il tuo palcoscenico, raggiungi i grandi jazzisti che sono lassù e fai risuonare la tua amata batteria nell’universo», ricorda la famiglia nel necrologio, in cui annuncia che i funerali si terranno domani alle 11 in Sacra Famiglia.

Lui non ci sarà. Magari è a far compagnia all’amico Giorgio Gaber. È bello immaginarli al tavolino di un bar, mentre canticchiano la «ballata del Cerruti». E sorridono.

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