E' arrivato il via libera alla demolizione dell'Ariston

di Nicola Guarnieri

Nell’anno del Signore 1926, secolo breve, Rovereto cambiò decisamente pelle trasformandosi nel più grande centro industriale del Trentino.

Partivano le fabbriche vere, che seguivano di qualche decennio la grande Manifattura Tabacchi avviata dall’Impero austroungarico a Borgo Sacco. Ma il 1926 è una data che segna non solo la costruzione di capannoni ma pure la fisionomia dell’Atene del Trentino. Perché i siti produttivi lambivano i viali dell’arte della cultura, arrivavano a ridosso del salotto buono dell’urbe.

Quello spaccato di storia economica, urbanistica e sociale è andato in archivio. E addirittura sta per essere cancellato con un colpo di spugna lasciando il vuoto, nel vero senso della parola. Il compendio ex Ariston - già Merloni Termosanitari - occupa qualche ettaro lungo la statale e la ferrovia. Quattro anni fa la fabbrica ha chiuso, dismettendo la produzione di scaldabagno dopo aver lanciato i primi elettrodomestici a gas e, da un punto di vista sindacale, essere la stata la prima ad adottare il contratto di solidarietà seguendo il motto «lavorare meno lavorare tutti».

Quel presidio occupazionale, fondamentale per quasi un secolo, alla fine ha detto addio. Segno dei tempi e della storia che cambiano. Al suo posto, però, è rimasto un ecomostro che, dove prima era tutto un pullulare di operai e di speranza per il futuro, offre di sé un’immagine di «cadavere» industriale in balia di se stesso. Un brutto biglietto da visita, si direbbe da un punto vista estetico, che adesso sarà definitivamente consegnato agli archivi.

La Provincia ha dato il via libera al completamento della bonifica con tanto di demolizione. Un intervento da 690 mila euro che sarà interamente pagato dall’Ariston, del privato quindi, e che sarà ultimato nel giro di tre anni. In piazza Dante, però, per cautelarsi hanno chiesto alla multinazionale marchigiana di versare, a titolo di garanzia, 207 mila euro. Perché fidarsi è bene non fidarsi è meglio.

Il piano di caratterizzazione, in verità, ha palesato la presenza di inquinanti nel sottosuolo, soprattutto cloroformio e tetracloroetilene nella falda acquifera. E la Provincia ha ordinato indagini più scrupolose per scongiurare concentrazioni pericolose. Al termine dell’ulteriore verifica, si procederà con la demolizione del capannone San Pietro. Il «fratello» San Paolo, l’enorme edificio in ferro dove a suo tempo si sfornavano scaldabagni, è già finito in discarica lasciando una spianata. Ripulita dalle scorie e, quando toccherà la stessa sorte all’altra fabbrica, sarà pronta per essere reinventata: un pezzo di città che si dovrà intrecciare col tessuto urbanistico roveretano.

I due capannoni - San Pietro e San Paolo - come detto hanno una storia importante. Il primo ha preso il nome dall’impresa che lo costruì negli anni Venti ed è sembrato normale chiamare San Paolo l’altro. Due tappe del medesimo disegno: la bonifica del sito, prima di trasformarlo in altro.

Quando l’Ariston Thermo se ne andò, ormai quattro anni fa, la «due diligence» ambientale pretesa da Trentino Sviluppo - proprietaria dell’immobile - disse che là sotto c’erano degli inquinanti. Nulla di strano, ovviamente, visto che si parla di un sito industriale di inizio Novecento e con oli esausti e gasolio ci si conviveva senza preoccupazione alcuna. Roba, però, che va eliminata. E a pagare, come detto, è la stessa azienda che ha chiuso baracca e burattini consegnando alla memoria un pezzo di gloriosa attività operaia lagarina.

Le cisterne tombate sono già state eliminate e i carotaggi hanno evidenziato presenza di sostanze tossiche anche sotto gli edifici. Tutto, comunque, ripulito. Ora tocca alla demolizione dell’ultimo capannone e poi si avrà uno spazio nuovo da inventare con case e negozi. O magari un grande parco. Chissà.

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