Rovereto: un riparo di design, grazie anche ai profughi

È stata costruita all’interno del polo della meccatronica di Rovereto anche con il lavoro di un gruppo di richiedenti asilo la prima struttura polivalente (Hospitality) che ospiterà ambulatori, scuola di alfabetizzazione ed altri servizi comuni per i braccianti della baraccopoli di Rosarno, in Calabria. 
 
«Da due anni e mezzo a Rosarno, ed anche in altri ghetti del Sud, ci occupiamo dei corsi di alfabetizzazione» racconta Matteo De Checchi del Collettivo Mamadou di Bolzano. «Un po’ alla volta abbiamo pensato che ci sarebbe servita una struttura e da qui è partita l’idea di costruirla a Rovereto con Brave New Alps, studio di designer con sede a Nomi, e Area 527, un gruppo di architetti da sempre impegnati su questi fronti». Ma il gruppo di lavoro si è allargato ed ha coinvolto sei profughi:  Haruna Barr (Gambia), Douglas Imasuem (Nigeria), Samuel Kwokam Funtim (Cameroun),  Ablaye Mboup (Senegal), Komivi Sowanou (Togo), falegnami anche nel loro paese d’origine, e Lucien Thierry Mbouli Obama (Cameroun) ingegnere civile. «È stato un lavoro di costruzione collettiva, uno scambio di competenze che aveva come scopo quello di fare comunità» spiega Fabio Franz  di Brave New Alps mentre sta percorrendo a ritroso i 1.176 chilometri che separano Rovereto da Rosarno, dove la sera di Pasqua il lavoro è stato concluso. Ci vogliono tredici ore di viaggio per coprire questa distanze e lui le ha trascorse in compagnia di Luca Modena, ingegnere roveretano, e dei sei richiedenti asilo. «Miracolosamente abbiamo finito» commenta ancora incredulo per quanto è stato fatto. «Se penso che un anno fa questa era solo un’idea, non riesco a crederci. Grazie al tempo clemente ed ai pochi imprevisti incontrati, ai quali abbiamo rimediato in corso d’opera, ce l’abbiamo fatta».
 
La soddisfazione è tanta, perché quella struttura in legno dimostra che è possibile portare avanti un progetto del genere anche senza i finanziamenti pubblici. «In tutto è costata 10 mila euro, di cui 6 mila sono stati raccolti attraverso un crowdfounding a cui hanno partecipato più di cento persone, mentre gli altri vengono coperti dai fondi dell’associazione Mamadou che sta portando in giro uno spettacolo sui temi dello sfruttamento. Ma oltre ai soldi è stato regalato il tempo e l’energia di molte persone, una ditta austriaca ha donato i pannelli di legno con il quale è stata realizzata la struttura (per un valore di mercato di 8 mila euro), un’altra ditta tedesca ha regalato al gruppo le macchine per lavorare il legno e infine la ditta Revolti lattoneria ha fornito gratuitamente coperture e canali di scolo».
Tutto questo è servito per creare quegli spazi comuni che verranno messi a disposizione dei braccianti della piana di Gioia Tauro. «La struttura è arrivata in Calabria a febbraio con un tir finanziato dalla cooperativa Sos Rosarno - spiega De Checci -. L’inaugurazione sarà tra la fine di aprile ed il primo maggio, in un giorno che vuole essere anche simbolico».
 
Quei trentacinque metri quadrati di pannelli gialli resistenti al peso ed alle interperie, alti quattro metri e «con due porte aperte a tutti», come raccontano gli architetti di Area 527, spiccano in quella distesa di tende anonime. «Solo un insieme di menti, energie e obiettivi comuni possono realizzare una cosa grande come Hospitality» concludono i protagonisti. Tra questi obiettivi c’era quello, riuscito, di riconoscere l’identità dei profughi per quello che sono: persone che hanno delle capacità ed hanno potuto dimostrarlo, con dignità.
 

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