Scontro tra diocesi e Comune La Curia vuole il rimborso Imu

di Nicola Guarnieri

L’Arcidiocesi di Trento vuole 67 mila euro dal Comune di Rovereto che, come prevedibile, ha risposto picche. Questo, in estremissima sintesi, è il contenzioso tra, diciamo così, sacro e profano, Chiesa e Stato (ancorché per interposta persona).
In ballo c’è la tassa sugli immobili che la curia, per conto dell’Arcivescovile di viale Trento, paga ogni anno a palazzo Pretorio. La scuola, però, ha chiesto all’ente pubblico la restituzione dei tributi versati per il 2014, come detto quasi 70 mila euro. Una cifra, insomma, tutt’altro che trascurabile sia per l’uno che per l’altro.

Gli uffici finanziari e legali di piazza del Podestà, non a caso, si sono rifiutati di aprire i cordoni della borsa specie in epoca lontana anni luce dall’Eldorado dei municipi italiani. La diocesi, chiaramente, davanti al diniego ha deciso di insistere passando alle carte bollate e portando il contenzioso davanti alla commissione tributaria di primo grado di Trento.

Toccherà dunque a questi giudici speciali dirimere la questione e stabilire se il gruzzolo figlio dell’Imu sia stato versato anche se non dovuto o, al contrario, se il Comune fa bene a tenersi il denaro.
Le posizioni, ovviamente, sono diametralmente opposte: l’Arcivescovile fa leva su un regolamento ministeriale del 2012 dove si esonerano dal pagamento dell’Imu le scuole paritarie che applicano agli studenti rette inferiori ad una certa cifra (circa 6 mila euro). Di qui la richiesta di riavere quanto versato perché, appunto, non dovuto.

Per contro il Comune si appella ad una sentenza della suprema corte di cassazione che applica un principio civilistico equiparando gli istituti di formazione cattolici ad esercizi commerciali e quindi tenuti a onorare il tributo sugli immobili di proprietà. A onor del vero, la sentenza romana si occupava di Ici ma i principi citati dai magistrati sono applicabili anche all’Imu. In fin dei conti se lo Stato si diverte a cambiare nome alle tasse non è certo colpa loro. Insomma, se le lezioni si pagano, sostengono gli ermellini, è giusto che si onorino anche le tasse visto che, proprio per via delle rette dovute da chi si iscrive, la scuola paritaria si può configurare come attività commerciale. Le pronunce della suprema corte, d’altro canto, sfociano in un principio per il quale l’obbligo di versamento della tassa scatta quando l’attività svolta dal proprietario dell’immobile è «potenzialmente commerciale», a prescindere dal fatto che i bilanci siano in utile o in perdita. E a rendere «potenzialmente commerciale» l’Arcivescovile sarebbero appunto le tariffe che mirano a coprire il costo del servizio.

Le decisioni della Cassazione, come detto, riguardano la vecchia Ici e adesso toccherà alla commissione tributaria trentina stabilire se sono valide anche per l’Imu.
I parametri sulle esenzioni «no profit» - al centro per altro di un’indagine dell’Unione Europea - sono fissati nel decreto del ministero dell’Economia. Nel caso delle scuole il documento ministeriale ha pescato un criterio «inedito», legato al «costo medio per studente»: quando la retta è inferiore al costo medio, l’Imu non si paga. Ed è quanto sostiene l’Arcidiocesi. Che, non a caso, richiama a questo parametro che indica il «costo medio» tra i 5.739,17 euro della scuola dell’infanzia e i 6.914,31 euro delle superiori e quindi garantisce l’esenzione a un’ampia fascia di istituti.

Questo criterio, però, è decisamente diverso da quello nominato dalla Cassazione, perché basta che la tariffa tenda a coprire il costo del servizio per rendere commerciale l’attività. E questo particolare parametro, poi, è infilato in un decreto ministeriale e non in una legge dello Stato.

Il braccio di ferro tra diocesi e Comune, tra l’altro, rischia di diventare un caso pilota. Se la commissione tributaria darà ragione all’Arcivescovile, infatti, potrebbe aprirsi una voragine nel bilancio municipale non solo di Rovereto. A quel punto, infatti, la scuola potrebbe chiedere la restituzione dell’Imu anche per il 2012, il 2013 e il 2015. Non, però, per l’anno in corso visto che, sul punto, la Provincia ha già messo nero su bianco un versamento dello 0,2 per mille. Se, al contrario, le ragioni «laiche» saranno riconosciute tutto resterà così com’è.

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