Via alla trattativa Pama, a rischio 90 dipendenti

Preoccupazione a Rovereto

di Matthias Pfaender

Si è aperta venerdì in Confindustria la trattativa sindacale in Pama, impresa specializzata nella produzione di grandi macchine utensili, alesatrici-fresatrici, molto orientata all'export ed una delle aziende storicamente forti del tessuto manifatturiero lagarino, con lavorazioni ad altissimo valore aggiunto. Sul tavolo della contrattazione l'intenzione dell'azienda di non ricorrere per il quarto anno consecutivo al contratto di solidarietà e di procedere alla mobilità, a partire dal primo di aprile, di novanta dipendenti su 301 totali nello stabilimento di Rovereto (nel sito produttivo di Brescia, che conta 50 lavoratori, non è in essere il ricorso ad alcun ammortizzatore sociale). «Qualche spiraglio - commenta a fine incontro Paolo Cagol di Fim Cisl, che lunedì incontrerà in assemblea i lavoratori - sulla possibilità di ricorrere ancora per un anno al contratto di solidarietà si è aperto. Ma ora ogni commento sarebbe prematuro, la trattativa è appena iniziata».

Il futuro dell'azienda, guidata dall'ad Ettore Batisti, partecipata anche da Marangoni e da Ubi Banca, corre su un doppio binario. Da un lato l'annunciato piano di investimenti, che sarà finanziato in parte grazie all'emissione di un minibond da cinque milioni di euro sottoscritto anche dal Fondo Strategico del Trentino Alto Adige gestito da Finint Investments sgr, della durata di sette anni al 4% di interesse fisso annuo. Dall'altro però anche l'obiettivo di ridurre i costi di produzione. Agendo quindi anche sulla forza lavoro. Questo nonostante il bilancio 2014 abbia registrato un valore della produzione ancora in crescita del 3,6%, da 85,8 a 88,8 milioni, un margine operativo lordo in flessione e un utile netto di 740 mila euro, pur con un tonfo dei ricavi dalle vendite da 127 a 78 milioni. Gli addetti totali (oltre alla casa madre Rovereto anche lo stabilimento nel bresciano, la fabbrica cinese e le società commerciali) sono scesi da 386 a 367.

Secondo l'analisi dei confederali il brusco rallentamento del mercato cinese ed il crollo del costo del petrolio sarebbero alla base della crisi che starebbe affrontando l'azienda. Gli investimenti mondiali nei macchinari Pama, utilizzati per una parte rilevante nell'industria energetica «green» (dall'eolico al solare) per la realizzazione delle centrali produttive, si sarebbero interrotti con la picchiata dei prezzi del greggio. L'investimento nell'energia alternativa slegata dai combustibili fossili, con il barile sotto ai 40 dollari, ha cessato di sembrare conveniente ai grandi gruppi industriali dei Paesi emergenti: Cina, India, Russia e Sud America, dove l'azienda ha i suoi mercati di riferimento e dove fattura oltre l'80%.

L'attenzione in ambito provinciale per l'esito della contrattazione è alta. Sia per i numeri in gioco (90 persone coinvolte, pochissime prospettive di prepensionamenti) che per lo status stesso di Pama, da sempre realtà sana (sia per i bilanci che per le condizioni di lavoro) orientata all'export ed all'innovazione. Del resto il ragionamento «politico», a Piazza Dante, è semplice: se anche la Pama lascia a casa persone, cosa dobbiamo aspettarci dalle altre industrie?

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