Giustizia

Madre e figlia volevano morire insieme, Francesca Rozza non verrà processata: "Incapace di intendere e volere"

In tribunale a Rovereto i risultati della perizia psichiatrica sulla donna di 61 anni che il 28 febbraio ha ucciso l'anziana mamma in via Deledda e poi l'ha vegliata 24 ore. Secondo il perito al momento della tragedia «l'indagata presentava un delirio strutturato di tipo persecutorio e di rovina». Per ora resta in una struttura psichiatrica

IL CASO Trasferita in ospedale la figlia dell'anziana vittima
IL DELITTO Maria colpita alla testa, la figlia fermata dai carabinieri
L'AVVOCATO «Francesca Rozza è ancora in stato confusionale»

di Paolo Liserre

RIVA DEL GARDA. In questo momento Francesca Rozza è in grado di partecipare ad un eventuale processo a suo carico ma al momento dell'omicidio della madre Maria Skvor, il 28 febbraio scorso, «presentava un delirio strutturato di tipo persecutorio che escludeva totalmente la sua capacità d'intendere e di volere». Quindi la sessantunenne che fino a qualche mese fa viveva con la mamma in via Deledda, a Riva del Garda, non verrà processata per «omicidio volontario aggravato» e proseguirà il suo percorso riabilitativo in una struttura residenziale psichiatrica.

Sono queste le conclusioni alle quali è giunto il perito del tribunale di Rovereto (il dottor Eraldo Mancioppi) rispondendo ai quesiti posti dal gip Mariateresa Dieni in occasione dell'incidente probatorio del 14 marzo scorso, esattamente due settimane dopo il fatto di sangue che aveva scosso la comunità rivana in un tranquillo sabato mattina di fine febbraio.

Il giudice dell'indagine preliminare voleva chiarire se le condizioni mentali dell'indagata (Francesca Rozza) fossero stabili al momento del delitto, se fosse e sia in grado di sostenere un processo e il suo stato di «pericolosità sociale».

Anche la difesa legale della donna, sostenuta dall'avvocato Nicola Canestrini di Rovereto, aveva nominato un proprio consulente di parte (la dottoressa Anna Palleschi) che ha partecipato assieme a Mancioppi a tutti e tre gli incontri avuti dai periti con l'omicida di via Deledda. All'udienza di giovedì mattina 3 luglio in tribunale di Rovereto era presente anche Francesca Rozza; il gip ha revocato la misura cautelare residua degli arresti domiciliari presso una struttura sanitaria; ora Francesca Rozza proseguirà con le cure necessarie e con un lungo e non facile percorso di recupero, nel frattempo la Procura di Rovereto arriverà alla chiusura delle indagini e, presumibilmente in autunno, verrà fissata l'udienza preliminare che sancirà il proscioglimento della donna per «difetto d'imputabilità».

Dovrebbe chiudersi così, quindi, una brutta storia che affonda le sue radici in un rapporto simbiotico e ossessivo durato anni tra una madre (Maria Skvor) e una figlia (Francesca Rozza) con quest'ultima che - come ha osservato lo stesso consulente del giudice - «era ed è come l'edera su un muro», crollato il muro rischia seriamente di morire anche lei. Per questo lo stesso dottor Mancioppi nella sua relazione sottolinea come «vi è una probabilità molto elevata che l'indagata possa mettere in atto altre condotte anticonservative». Togliersi la vita quindi, proprio come volevano fare assieme mamma e figlia e come la stessa Francesca Rozza ha raccontato ai due periti nei loro colloqui avvenuti tra marzo e maggio. «Un accordo di suicidio allargato» lo definisce lo stesso consulente tecnico del tribunale.

«La perizia psichiatrica conferma con chiarezza che, al momento dei fatti contestati, la signora Rozza era affetta da un delirio psicotico grave, strutturato e incoercibile - commenta l'avvocato Nicola Canestrini - che annullava del tutto la sua capacità di intendere e volere. Non si tratta di una valutazione soggettiva, ma del risultato di un approfondito accertamento peritale condotto su incarico del giudice. La giustizia deve dunque adeguarsi alla verità clinica emersa: Francesca ha bisogno di cure, non di una condanna».

Si arriva così, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, a quel fatidico 28 febbraio scorso quando nell'appartamento all'ultimo piano delle case costruite decenni or sono dalle cooperative in via Deledda si consuma la tragedia. Francesca Rozza decide di farla finita; colpisce la madre nel sonno sette volte con una lampada ma le ferite non sono letali; ancora con un coltello ma anche questi colpi non sono fatidici; infine la soffoca con un cuscino e poi cerca di togliersi la vita tagliandosi i polsi e immergendosi nella vasca da bagno per sentire meno il dolore. Ci prova anche con il gas ma non ce la fa.

Decide allora di vegliare la mamma senza vita per ventiquattr'ore e infine, la mattina del 1° marzo, dà l'allarme chiamando il 112: «Credo di aver ucciso mia madre» dice all'operatore che le risponde. E quando arrivano i carabinieri di Riva e quelli della scientifica di Trento la trovano proprio lì, accanto alla mamma senza vita. Proprio come ha fatto per una vita intera.

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