Arco, il climbing si è fermato: negozi in crisi, falesie deserte un danno di milioni di euro

di Barbara Goio

L’arrampicata era l’oro di Arco, ed ora è tutto fermo: chiuso il climbing stadium, serrati i negozi specializzati, giro d’affari azzerato. «È un problema serio» spiega Diego Mabboni, titolare di sette punti vendita, cinque dei quali ad Arco. E riprende: «Vivo l’emergenza su più fronti. Come commercianti, poi, abbiamo dei grossi problemi, sia perché essendo un’attività stagionale, la crisi da Covid ha colpito quando avevamo terminato gli ordini per l’estate, e quindi ora dobbiamo far fronte ad un’esposizione economica micidiale; dall’altra perché comunque le spese vive, gli affitti soprattutto, sono molto alti. Si spera in qualche prospettiva, verso fine mese, ma intanto i dipendenti sono a casa». «Questa situazione - prosegue Mabboni - dà forza al commercio su internet. È per questo che noi commercianti dobbiamo fare squadra: abbiamo la fortuna di vivere in un territorio che ha tutto, ma c’è bisogno di programmazione e, in questa situazione di crisi, questo problema emerge con chiarezza».
Anche Walter Gobbi, storico negoziante sportivo di Arco, sta affrontando questa difficile situazione: «Dovremmo aprire il 18 maggio, vediamo come va. Il problema è che i nostri clienti sono i turisti, soprattutto stranieri, e finchè non ci si può muovere non ci aspettiamo granché. Per ora non vogliamo usare la vendita online perché i nostri sono prodotti specialistici e i clienti cercano fiducia e consulenza. La concorrenza con Amazon è comunque assurda: ci si confronta con chi paga molte meno tasse di noi, ha dipendenti allo strangolo, può abbassare i prezzi a piacimento e usa strategie su larga scala». Gobbi è duro: «È una questione di sopravvivenza, chi ha basi solide sopravviverà. Intanto le ditte serie hanno detto che non cambieranno campionario il prossimo anno, così da darci più tempo per smaltire gli ordini». «Sono sempre stato preoccupato per questa “monocultura” del commercio - spiega il sindaco Alessandro Betta - ed ora ci ritroviamo in una situazione complicata che non si risolve certo in poche settimane ma che, anche dopo, ci costringerà a vedere il mondo in maniera diversa. Tutto il nostro modo di gestire il turismo dovrà modificarsi, puntando sulla qualità e sui servizi accessori che prevederanno organizzazione e sicurezza sanitaria».
Diverso è invece il discorso dell’accesso alle strutture dell’arrampicata (chiuse), e alle falesie (raggiungibili solo a piedi).

Angelo Seneci, direttore di Rock Master e nel gruppo di lavoro della Fasi (Federazione arrampicata sportiva italiana) è prudente: «Arrampicando, e condividendo attrezzatura e roccia, il contagio è possibile, e per questo va evitato secondo linee guida precise». Quanto all’accesso in auto, mette in guardia: «Bisogna evitare l’assalto alle pareti, con campeggi liberi e quant’altro, come avvenuto in Germania».

Per Gino Malfer, guida alpina, e per Diego Mabboni, del direttivo di Arco Climbing, che annovera 650 soci, invece l’accesso coi mezzi alle falesie è importante, sia per permettere di scegliere la parete adatta che per dare ascolto ai tanti ragazzi delle squadre agonistiche che ora sono completamente tagliati fuori. A questo proposito i climber trentini hanno elaborato un documento unitario in cui si chiede al presidente Fugatti di poter raggiungere le pareti con i mezzi, sia privati che pubblici, così come avviene per esempio in Veneto.

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