Psichiatria, il Covid-19 ci rende tutti simili

di Giorgia Cardini

La pandemia provocata dal Covid-19 sta bloccando dentro casa milioni di persone, di ogni età, e tra queste ci sono anche i pazienti dei centri di salute mentale e delle strutture residenziali psichiatriche.

Con quali effetti? E con quali problemi, per i medici psichiatri chiamati ad assicurare un servizio che, a differenza di altri, non può essere sospeso?
Lorenzo Gasperi, direttore dell’Unità operativa di psichiatria Ambito Est che ha sede a Pergine, nell’ex ospedale psichiatrico dove si trovano anche alcune delle strutture residenziali più impegnative (come la Rems, che accoglie pazienti detenuti), fa il punto sul servizio e sul momento, spazzando via anche alcuni diffusi pregiudizi.

Dottor Gasperi, quanti sono attualmente in Trentino i pazienti in trattamento nei centri di salute mentale e quanti quelli residenti nelle strutture psichiatriche?

In Trentino i servizi dell’area salute mentale intercettano ogni anno oltre 17.000 persone, di cui circa 1/3 sono minori. In particolare, la psichiatria ha in cura in questo momento circa 8.000 cittadini che si rivolgono ai centri di salute mentale per i più vari motivi. È quindi importante non generalizzare: oltre il 90% degli utenti della psichiatria trentina sono cittadini come gli altri, temporaneamente in cura per un disturbo che noi chiamiamo “psichiatrico” e che - come per qualsiasi altra patologia - può impattare poco o tanto sulla qualità di vita della persona.
In molti casi l’intervento terapeutico (psicologico, farmacologico, educativo, comportamentale) è risolutivo, anche in rapporto alle risorse psico-fisiche della persona. In altri casi è necessaria una fase di riabilitazione, un monitoraggio nel tempo e una gestione di possibili ricadute. Infine, come per qualsiasi altra patologia, ci sono situazioni che compromettono gravemente il funzionamento e l’autonomia della persona e richiedono un aiuto prolungato nel tempo con carattere di cronicità: è in questi casi che vengono messi in campo gli interventi più intensivi in termini di riabilitazione sostegno alla vita relazionale, al lavoro e all’abitare.

Un mondo poliedrico, insomma, che affronta un momento particolare. Come vi siete organizzati?

Per i circa 160 pazienti ospiti delle strutture residenziali della psichiatria è stato predisposto un piano di emergenza per la gestione di eventuali positività Covid che - con gradualità - potrebbe prevedere l’isolamento in alcune stanze oppure - se i numeri dovessero essere significativi - l’utilizzo di un’unica struttura specificamente dedicata per un isolamento domiciliare dei pazienti con sintomi leggeri che non richiedono ospedalizzazione. Quando la sintomatologia clinica suggerisce una ospedalizzazione (e tanto più interventi ad alta intensità) il paziente seguirà - come tutti i cittadini - il normale percorso dedicato a Covid. Nelle ultime settimane, per limitare il rischio di contagio, abbiamo ridotto i ricoveri solo ai casi indifferibili: al momento abbiamo una occupazione di circa il 50% dei posti letto ospedalieri disponibili.
Nei nostri reparti, così come nelle nostre strutture residenziali, in coerenza con #iorestoacasa, sono state sospese le visite e le uscite non indispensabili: gli utenti e i familiari hanno compreso e collaborano, utilizzando strumenti di comunicazione alternativi.

Quanti professionisti lavorano nelle unità operative di psichiatria?

Nelle UO di psichiatria del Trentino lavorano circa 450 persone. Oltre a osservare le regole di comportamento richieste a tutti i cittadini, il personale sanitario deve indossare la mascherina chirurgica nei momenti di contatto assistenziale con utenti a una distanza inferiore al metro e mezzo e nella fase di preparazione e/o confezionamento del pasto e della terapia farmacologica. A tutte le persone che accedono ai servizi vengono poste le domande del pre-triage come previsto dalla normativa aziendale. I professionisti dei nostri servizi sono impegnati quotidianamente a valutare ogni richiesta e attivare le attenzioni necessarie per garantire la risposta di cura, assicurando il contenimento dei rischi sia per l’utenza che per il personale.

Pare di capire che attualmente non ci siano casi di Coronavirus, nelle vostre strutture.

È così. Al momento, in Trentino ci sono solo un paio di sanitari delle UO positivi al Covid, ma sono a casa loro e senza che ci siano stati contagi. Qualcuno altro è in autoisolamento volontario, ma non si tratta di vere quarantene, quanto di precauzioni massime. La situazione è del tutto sotto controllo.

Quindi l’attività prosegue normalmente?

Be’, l’attività ambulatoriale è stata notevolmente ridimensionata secondo criteri clinici di priorità, bisogno e urgenza: per ogni paziente è stata fatta una valutazione in equip,e che ha considerato la possibilità di ridurre o sospendere gli accessi al Centro salute mentale, utilizzando modalità di comunicazione alternative (telefono, videocomunicazione, WhatsApp). Tutti i pazienti in carico sono stati informati della necessità di ridurre gli spostamenti e favorire la permanenza a casa.

Insomma, anche in questo settore si lavora via Internet.

In alcune realtà (ad esempio nelle sedi di Pergine, Cavalese, Levico, Borgo e Primiero) erano già attive postazioni attrezzate con webcam, che attualmente vengono utilizzate per la videocomunicazione tra le diverse sedi e con altri servizi; ma anche i pazienti disponibili possono comunicare in audio/video con i professionisti dei centri salute mentale.

Ma che effetti sta producendo l’isolamento, sulle persone seguite?

Per alcune si tratta di un ulteriore isolamento ma per altri, purtroppo, niente altro che normale quotidianità.
Lo stato d’animo attuale da una parta attiva e esacerba ansia, preoccupazioni e paure, ma dall’altra può attivare risorse e capacità di affrontare i problemi, costringendo a declinare nuove priorità: in sostanza, potremmo dire che la pandemia produce nei nostri utenti gli stessi effetti che produce su tutto il resto della popolazione, le stesse fatiche, paure, preoccupazioni.

Quanto dice è abbastanza sorprendente, per noi.

Lo so, ci sono molti pregiudizi in giro. A pensarci bene, però, ci troviamo in una situazione in cui ognuno di noi vive alcune esperienze caratteristiche di chi soffre di una grave patologia psichiatrica, come la sensazione che l’altro possa rappresentare una minaccia e la necessità di doversi chiudere per difendersi.
C’è in ballo la vita e paradossalmente sono costretto a isolarmi proprio nel momento in cui avrei bisogno di qualcuno in mio aiuto. È anche vero, però, che questa condizione di emergenza nuova e drammatica può essere per tutti noi una opportunità ?ristrutturante?: se è vero che entriamo più facilmente in contatto con la nostra storia di sofferenza, con le nostre cicatrici, con le nostre aree fragili, è anche vero che questo ci può dare l’opportunità di riconoscere risorse e consapevolezze, che in tempi più rassicuranti non ci risultavano accessibili.

Questo è molto interessante. Ma, in concreto, come stanno reagendo, i vostri pazienti?

Nonostante i disagi, molto bene, e ci sembra che le risposte che noi stiamo dando siano sufficientemente coerenti: è nostra cura però monitorare quotidianamente la sofferenza e le problematicità che possono emergere per adattare le nostre risposte ad eventuali nuovi bisogni, nella consapevolezza che il prolungarsi del distanziamento sociale rappresenta un elemento di stress sociale pesantissimo.

A questo proposito, sono aumentati i trattamenti sanitari obbligatori in Trentino, in questo periodo?

No, non abbiamo registrato alcun aumento di TSO. I trattamenti sanitari obbligatori nella provincia di Trento, pur essendo in aumento negli ultimi anni, rappresentano suppergiù il 10% dei circa 900 ricoveri annuali nei nostri tre reparti di psichiatria (Arco, Trento e Borgo).

E’ stata espressa da più parti preoccupazione per il possibile aumento delle dipendenze e delle violenze familiari: ci sono delle evidenze, in questo senso, per quanto riguarda la realtà trentina?

Le evidenze si potranno registrare solo un secondo momento. La convivenza forzata certo può creare stress e disagio, tanto più in quelle situazioni dove è già presente una difficoltà di gestione delle relazioni: questa volta però il nemico è “esterno” e l’emergenza - se compresa e condivisa - può in qualche modo “decolpevolizzare” e alleggerire il focus dalle difficoltà relazionali.

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