Del cimitero militare di Pergine solo ricordi sbiaditi dal tempo

Fra i seimila ed i settemila. È questo il numero (la cifra esatta non la sapremo mai) dei caduti della Prima Guerra Mondiale sepolti nel grande cimitero militare di Pergine che sorgeva nell’allora periferia, in quella che non a caso si chiama via Caduti. Fino al 1970 italiani, sloveni, romeni, polacchi, russi, slavi, ungheresi, tedeschi, austriaci (tutto il grande popolo dell’allora impero austroungarico) trovarono sepoltura uno accanto all’altro, «affratellati nella morte» come recita la frase che accoglieva i visitatori del camposanto. Nel grande cimitero perginese, opera dell’architetto Heinrich Veix, confluirono i caduti in battaglia, o più spesso quelli nel grande ospedale di guerra (l’ex ospedale psichiatrico) o negli altri ospedali da campo che sorgevano un po’ ovunque (Masetti, Vignola, ai Paludi); finita la guerra, vi furono portati anche i caduti dei cimiteri minori, come quello che sorgeva a Maso San Pietro, dove venne sepolto inizialmente anche l’asso dell’aviazione Joszef Kiss, quello dei Masetti, dei Compi e via discorrendo. Con l’avvento del fascismo italiani, austriaci e tedeschi vennero esumati: i primi per finire negli ossari di cui il regime faceva gran propaganda, gli altri destinati a tornare nelle loro patrie. TuttE le rimanenti salme rimasero a Pergine. Fino al 1970. In quell’anno, per una discutibile ed al giorno d’oggi ancora incomprensibile decisione, l’amministrazione comunale perginese decise di esumare tutto il cimitero. Fu il caos totale, un caos che regna ancora oggi per quanti tentano di riannodare i fili della storia.
Oggi, a parte i ricordi, solo il nome della via rimanda a questo passato neppure tanto lontano: né una targa o un pannello informativo, nel luogo in cui sorgeva il cimitero, ricordano la sua silenziosa presenza. Il parco in cui sorge il grande monumento oggi è chiamato «Parco della Pace». Quello che fu Pergine durante la Prima Guerra Mondiale è destinato a rimanere nei libri di storia, perché finora poco o nulla è stato fatto, nemmeno sfruttando l’occasione del centenario.
Forse un po’ più di persone ricordano invece i caduti perginesi della Grande Guerra: per ricordarli, nella cappella del cimitero sono poste due lapidi con incisi 82 nomi, e in quasi tutti i paesi sorge un monumento o una lapide con i nomi dei caduti di quel luogo.
Da accurate e recenti ricerche di alcuni storici perginesi si scopre però che i numeri dei caduti dovrebbero essere aggiornati: 86 quelli di Pergine; molti di più, sommati, quelli delle frazioni, per un totale di 357, su circa 2.500 richiamati alle armi nel corso del conflitto. Aggiungendo anche quelli della Valle dei Mocheni e Vignola-Falesina, si arriva a 452. Fra gli 86 di Pergine, vanno menzionati anche i 3 che morirono vestendo la divisa italiana: Mario Garbari, Guido Petri e Roberto Iobstraibizer.
Fra poco sarà il 4 novembre: attualmente definita «Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate», un tempo era più semplicemente l’anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale. A Pergine si svolgerà la mesta e ormai poco partecipata cerimonia al monumento ai caduti e al cimitero. L’attenzione sarà già del mercatino di Natale. Nessun altro evento ricorderà i cent’anni dalla fine della guerra.
Si salva la frazione di Canezza, che negli ultimi quattro anni ha promosso, grazie alle sue associazioni, numerosi momenti di ricordo fra musica, storia e riflessione. Il 3 novembre, dopo il restauro della cappella cimiteriale e delle lapidi dei caduti, dalle 17 in poi, una solenne cerimonia celebrerà questo momento. Per non dimenticare. Cosa che nemmeno i perginesi dovrebbero fare con la loro storia e il loro passato.

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