Mele con «bidone»: condannato Quintali di frutta senza pagare

È stato condannato ad un anno di reclusione e 300 euro di multa un grossista di frutta abruzzese che si è rivelato essere anche un abile truffatore.

La vittima è un imprenditore di Pergine che ha venduto centinaia di quintali di mele, ma è stato pagato solo in minima parte: alla fine il danno per il commerciante trentino sfiora i 58 mila euro. L’imputato - Ovidio Cafarelli, 62 anni di Popoli - è stato condannato dal giudice Giuseppe Serao a risarcire le parti civili (20 mila euro ciascuno a padre e figlio) costituite con l’avvocato Andrea Merler. Ma certo per la parte lesa non sarà facile incassare il risarcimento.

Il primo tentativo del commerciante disonesto di agganciare la ditta del Perginese attraverso il telefono era stato un fallimento. L’imprenditore trentino, abituato a trattare di persona con i clienti, non si era fidato di un semplice contatto via cavo; aveva accettato di trattare con il commerciante quando questi si presentò nella sede della ditta e, con competenza, si mise a discutere di qualità del prodotto, pezzatura, costi.

Una competenza che rassicurò il commerciante trentino sulla bontà dell’affare. Per essere più convincente l’abruzzese spiegò di aver notato le mele in un mercato di Roma e, apprezzando il prodotto, di volerle proporre ai suoi clienti della capitale e dell’Abruzzo.

I primi due acquisti andarono in porto nel febbraio del 2015. Tutto sembrava filare liscio: le due forniture di mele vennero infatti quasi interamente pagate per un importo di circa 6.300 euro.

Le reali intenzioni dell’acquirente si rivelarono solo il mese successivo, con le forniture di frutta di maggior quantità e valore. A cadenza settimanale, nel mese di marzo, il commerciante abruzzese si fece consegnare ulteriori carichi di mele: 4 tranches da 240 quintali l’una, per un importo complessivo di 52mila euro coperto con assegni postdatati (si giustificò dicendo che attendeva a sua volta di incassare un grosso credito).

Assegni bancari che però si rivelarono insoluti, cioè di fatto «carta straccia» come ha precisato nel corso della sua deposizione testimoniale il luogotenente Renato Corazzolla, responsabile della sezione di pg della Guardia di Finanza che ha condotto le indagini.

Gli assegni infatti erano intestati alla Banca popolare dell’Adriatico che di fatto non esisteva più poiché dal 2004, entrando nel gruppo Intesa San Paolo, era diventata Banca dell’Adriatico. Gli assegni inutilizzati avrebbero dovuti andare al macero, invece almeno in parte circolavano ancora, benché non valessero più nulla. E così l’imprenditore trentino ci ha rimesso 52.602 euro per le forniture di mele non pagate più 5.081 euro per 119 cassoni per la frutta.

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