Marco, arrivato sul barcone nel grembo della mamma

Il piccolo ha tre anni e i genitori, nigeriani, hanno voluto dargli un nome che ricordasse il campo della Protezione civile

di Flavia Pedrini

Nomen omen. Nel nome il destino, dicevano gli antichi. Nel caso di Marco, un frugoletto di appena tre mesi, il nome parla di speranza e futuro. La certezza che per lui, arrivato in Italia su un barcone quando era ancora nel grembo della mamma, potrò esserci una vita in una terra di pace. Marco, dunque, come il nome del campo della protezione civile allestito nella frazione di Rovereto per accogliere i richiedenti asilo. I suoi genitori, papà Gbolahan e mamma Sikiratu, nigeriani, di 25 e 22 anni, sono arrivati in Italia questa estate su un barcone. L'approdo in Sicilia e poi l'invio in Trentino. 

Era agosto e mamma Sikiratu aveva il pancione. Qualche settimana dopo - il 26 settembre - il bimbo è nato. Ci sono genitori che per mesi «giocano» con i nomi. Provano ad immaginare quale suoni meglio. A questa giovane coppia il destino aveva rubato anche la possibilità di immaginare un futuro per il loro bambino. Per questo, quando il piccolo è venuto alla luce non avevano ancora deciso come chiamarlo. Poi la scelta è caduta su Marco. Un nome proposto da Elena Rinaldi, operatrice della prima accoglienza che era presente all'ospedale di Trento al momento del parto, come spiega Cinformi, che gestisce per la Provincia il progetto di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.

«ll nome Marco - racconta Cinformi - è piaciuto subito, anche perché ha un significato particolare. È un modo per ricordare il campo della Protezione civile di Marco di Rovereto, dove la coppia nigeriana è stata accolta per la prima volta in Trentino e per esprimere gratitudine all'Italia per essere stati soccorsi e per l'aiuto ricevuto dalla comunità trentina attraverso gli operatori dell'accoglienza: assistenti sociali, psicologi, operatori legali e per l'orientamento al lavoro, mediatori interculturali e tutte le altre figure professionali coinvolte, senza dimenticare il prezioso contributo dei volontari».

I due giovani, oggi, vivono in un alloggio in Vigolana e il piccolo Marco è la gioia dei genitori, che sperano un giorno di potersi sposare ed allargare la famiglia. «Ci troviamo molto bene, la gente è gentilissima», racconta Gbolahan. 
Orfano dei genitori - il padre è stato assassinato da persone che lo hanno depredato delle terre - il 25enne nel 2015 era fuggito da Lagos (metropoli della Nigeria) e, dopo un lungo viaggio, era arrivato in Libia, dove lo ha raggiunto la compagna, anche lei orfana. Gbolahan, diplomato in un istituto di istruzione commerciale, ha avviato un'attività di lavaggio macchine con altre persone. Ma la vita della coppia era segnata dal violenza e incertezza: il terrore di rapine e botte li ha spinti a fuggire.

Come migliaia di migranti hanno rischiato di morire in uno dei molti viaggi della speranza. Hanno pagato 2000 dollari ad uno scafista, che però la prima volta non li ha imbarcati. Poi altro denaro e quel viaggio in mare, ammassati con decine di anime terrorizzate. E infine il salvataggio delle navi di soccorso italiane: «Abbiamo gridato grazie all'Italia, grazie a Dio», racconta il giovane.

Ora una nuova possibilità di vita in Trentino, sull'altopiano della Vigolana. La nuova sfida si chiama integrazione. E autonomia. La coppia frequenta i corsi di italiano presso il Cinformi. «Ma voglio potenziare la conoscenza dell'italiano - dice - perché attraverso la lingua passa l'integrazione e la possibilità di trovare un lavoro». Il cuore spesso corre in Africa. Ma per Marco questi genitori sognano un futuro in Trentino: «Vogliamo imparare bene l'italiano - dice Gbolahan - lavorare e restare qui, dove siamo stati accolti bene».

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