Agricoltura/ La svolta

Sicher: «Vi spiego perché piantare vigne in Val di Non è una buonissima idea»

Sommelier e presidente della Strada della Mela: «La monocoltura della Golden è una bolla, occorre avere coraggio e guardare avanti, ha ragione Pojer». E poi c’è la questione dei trattamenti...

di Andrea Tomasi

VAL DI NON. «La bolla della monocoltura della mela è appunto una bolla. Oggi vola, ma nulla è per sempre. Si deve diversificare, come negli investimenti finanziari. Quella della viticoltura può essere una grande opportunità per l'economia e per la società della Val di Non. Si tratta di saperla cogliere. L'operazione vino, promossa da Melinda, può permettere al territorio di fare quel cambio di marcia di cui c'è bisogno. Meno mele, più uva, meno pesticidi, più paesaggio, più possibilità di creare indotto». Parole di Andreas Sicher, 36 anni, a capo del Pineta Nature Resort di Tavon, sommelier, nonché presidente della Strada della Mela e dei Sapori, che è un connettore tra mondo agricolo e mondo turistico, braccio operativo delle Apt di Non e Sole, un organismo che conta 200 associati.

Sono sempre di più quelli che temono la monocultura della mela. Lei è fra questi?

«Sì. Spaventa anche me sia sul versante economico sia su quello sanitario».

Ci spieghi meglio.

«I dati economici ci dicono che il settore mela tira ancora. Pare che la bolla funzioni e funzioni bene, ma per quanto tempo ancora? I numeri non parlano di "pericolo economico", ma bisogna guardare lontano e pensare al dopo, perché il rischio che tutto si fermi esiste. Lo abbiamo visto noi albergatori con l'arrivo del Covid: tutto è cambiato. E allora perché non programmare, ripensare, finché siamo in tempo?»

Questa la parte economica. E quella sanitaria?

«Ha parlato bene Mario Pojer (imprenditore vitivinicolo della cantina Pojer e Sandri di Faedo, ndr) sul vostro giornale (qui l’articolo). Con l'arrivo della viticoltura in valle si può pensare alla creazione di "muri" attorno ai paesi: parlo di "muri" composti da vitigni residenti, che non richiedono l'utilizzo di pesticidi e che quindi possono garantire la salute della gente, sempre più consapevole della presenza della chimica in Val di Non».

I pesticidi sono un problema anche a livello di immagine. Basti pensare al blocco dei trattamenti imposto quando c'è il Giro d'Italia.

«È proprio così. E poi c'è la questione paesaggistica. Pensiamo cosa vuole dire affacciarsi sulla valle e vedere pali di cemento e teli anti grandine. Su questo versante la viticoltura, che di per sè richiede meno irrorazioni, è meno impattante, più armonica, più piacevole. È un ragionamento nuovo che si può fare sul territorio».

E i contadini nonesi lei pensa che siano pronti?

«Assolutamente no. Nel mondo agricolo vedo staticità e passività. Arriva il messaggino sul cellulare in cui si dice di trattare coi fitofarmaci e si tratta. Punto».

Con la viticoltura sarebbe diverso?

«Quello dei vignaioli è un mondo più aperto. Si cerca il confronto con il resto del mondo. I figli dei melicoltori invece studiano a San Michele (alla Fondazione Mach - Istituto agrario, ndr) e poi vengono spediti sul trattore e là rimangono».

Quello della melicoltura è un mondo ricco.

«Ma non crea opportunità. Non vedo visione. Forse adesso le cose cambieranno, con questa svolta di Melinda».

Quanto tempo ci vorrà?

«Se le cose andranno in un certo modo, si potrà andare a sistema (con un sistema di imbottigliamento e vendita) in 10 anni, ma a livello di redditività già prima, perché i produttori potranno conferire a chi produce il vino e il consorzio in questo è un propulsore. Senza il consorzio di anni ce ne vorrebbero 30. Ce la possiamo fare. Fino a dieci anni fa nella zona del Barolo c'era il vuoto cosmico. Oggi c'è una produzione importante che crea indotto e trascina il resto dell'economia del territorio. Abbiamo tutti i numeri per farcela».

Ma in Val di Non si parla di nuovi terreni da coltivare a vigna o di conversioni?

«I terreni non ci sono, perché non vengono venduti e quelli che vengono venduti costano troppo. Dobbiamo agire noi, in fretta perché se la bolla dovesse scoppiare i terreni dovranno essere svenduti e i vignaioli esterni al Trentino interessati all'acquisto non mancano».

Pojer ha detto che il futuro dell'uva è in montagna. Insomma è un trend inarrestabile.

«Verissimo. Adesso c'è bisogno di escursione termica per fare bollicine. Si sarà costretti a "salire". Si deve cercare acidità e quella la trovi salendo in quota, in terreni selezionati. Penso allo Chardonnay e a progetti sostenibili dalla A alla Z. Qualità. Questo vogliono gli acquirenti. Con internet ormai le informazioni passano e noi dobbiamo essere quelli che garantiscono un'agricoltura sana, un ambiente sano e quindi un prodotto sano. È questo lo sviluppo sociale».

 

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