Agricoltura / Scenari

Il vino Melinda? Mario Pojer: «Era ora che si svegliassero, e poi hanno le miniere Tassullo, una cantina naturale...»

Parla il noto viticoltore di Faedo: «Oggi tutti piantano viti in montagna, il Trentodoc va alla grande, tutto il Trentino deve recuperare il ritardo. Perché puntare solo sulle Golden, abbiamo visto, alla fine non paga»

di Andrea Tomasi

VAL DI NON. «Era ora che quelli di Melinda si svegliassero». È questo il primo commento di Mario Pojer, noto imprenditore vinicolo (cantina Pojer e Sandri di Faedo, una realtà fatta da 30 ettari di terreno coltivato e 2,2 milioni di euro di fatturato nel 2020), alla notizia dell'approdo del colosso della melicoltura nel mondo del vino.

«Parliamo di una valle, la Val di Non, storicamente vocata a questo settore. Poi ci hanno costruito la diga di Santa Giustina che si è mangiata terreno, poi è arrivata Melinda e ha fatto il resto, ma in valle, soprattutto in alcune zone, ci sono tutte le caratteristiche necessarie per arrivare ad ottimi risultati in ambito vinicolo: ci sono le giuste altitudini, la giusta ventilazione, c'è l'esposizione al sole e ci sono le grotte di Tassullo, dove oggi si immagazzinano le mele, che sono cantine de facto».

Insomma da produttore vitivinicolo non teme gli effetti di un concorrente con la forza economica di un gigante?

«Assolutamente no. Io non vedo mai la "concorrenza". Se ci sono progetti seri e di alta qualità questo si traduce in opportunità per tutti. Si deve puntare in alto. Questa non è la zona del prosecco, non è la pianura del Piave. Dobbiamo lavorare e lavorare insieme».

Fare sistema, per usare un'espressione cara alla politica.

«Sì. Il terreno si presta bene per varietà a base spumante. Penso al "Trento con denominazione di origine controllata". In Val di Non farei Pinot nero e Chardonnay».

Melinda dice che farà anche Silvaner.

«Quello mi convince meno. Va bene in Alto Adige, nella Valle dell'Isarco, ma non ha una richiesta importante sul mercato, meglio il Riesling. Detto ciò, aggiungo che ha molto senso investire in Val di Non e, in generale, nei terreni di montagna. Il Trentino ha il vantaggio che basta spostarsi in alto di un po' per guadagnare dei gradi centigradi in meno che, in un periodo in cui si parla di riscaldamento globale, non è poca cosa. Anche le Cantine Ferrari hanno fatto investimenti in montagna, a Stenico, nel Bleggio. Hanno fatto vari impianti».

Anche voi avete acquistato terreni e fatto impianti a Grumes.

«Sì, parliamo di qualche anno fa: 12 ettari di varietà resistenti, che non hanno bisogno di trattamenti (Solaris, Muscaris, Souvigner Gris). A Faedo ora stiamo preparando i terreni per un impianto di Pinot Meunier».

Dimensioni?

«Parliamo di di 2,5 ettari».

La questione dell'altitudine e quindi della temperatura sarà sempre più di attualità nel settore vitivinicolo.

«Già. Pensiamo solo ai produttori di Champagne che fanno investimenti in Inghilterra. Qui da noi abbiamo un potenziale enorme. Certo, non vai in su per produrre Cabernet e Sauvignon. Oggi dal Trentino si vendono 8 milioni di bottiglie, ma abbiamo un potenziale tale che si potrebbe arrivare a triplicare la produzione, tranquillamente. Per questo dico che ben venga la realizzazione del progetto Melinda».

Come la vede la questione del marchio sui vini che saranno prodotti da Melinda?

«Non sono un esperto di marketing, ma dubito che vedremo il marchio Melinda sulle bottiglie di vino. Immagino che il marchio verrà "costruito" e che vedremo un'azienda con un suo nome sotto Melinda, ma questi sono dettagli. Il punto è che si deve capire che il Trentino ha un'opportunità pazzesca e dobbiamo muoverci in fretta perché gli altri non stanno fermi».

Chi sono "gli altri"?

«Sono tanti. I primi che mi vengono in mente sono i produttori dell'Alta Langa, nel Cuneese sopra Barolo stanno piantando viti a manetta. Parliamo di 2 milioni di bottiglie. È poco, se vogliamo ma questi hanno appena iniziato».

Non teme che i grandi produttori vinicoli, ad esempio della Rotaliana, possano sentirsi minacciati da Melinda?

«Questo sarebbe un ragionamento molto "trentino" che dobbiamo superare. Le faccio un esempio: a Valeggio sul Mincio ci sono 10.000 abitanti ma ristoranti per 50.000 persone. Dobbiamo pensare oltre i nostri confini. Se tutti comperano bottiglie del Trentino ce n'è per tutti, ma serve un'immagine di un certo tipo, identità e serietà».

Insomma si parla di una Val di Non diversificata, di un'agricoltura diversificata.

«Con la viticoltura moderna si possano fare grandi cose. Melinda sta prendendo atto che le coltivazioni a senso unico non vanno bene. Si è puntato per troppo tempo sulla Golden e ora il mercato fa pagare le conseguenze. Non va più bene la monocoltura della mela. Sul mercato va molto bene lo spumante, che oggi è in piena "euforia" ma siamo in ritardo».

Di quanto siamo in ritardo?

«Di anni. Queste cose si dicevano già 20 anni fa o forse anche 30. E guardate che in Val di Non abbiamo tutto. Le gallerie della Tassullo sono un valore aggiunto. Mi ricordano le cave di gesso di Reims, in Francia. Noi abbiamo le gallerie già bell'e pronte».

E per quanto riguarda l'utilizzo di pesticidi, come vede l'arrivo della viticoltura in Val di Non, che i fitofarmaci li conosce bene?

«Beh, sicuramente la viticoltura richiede un numero inferiore di trattamenti. Diciamo che se per i meleti si parla di 20-30 trattamenti, per le viti ne possono bastare 10-15. C'è da dire che il problema trattamenti esiste e quindi sarebbe interessante riuscire a coltivare varietà resistenti che non hanno bisogno di pesticidi. Penso a delle "cinture di sicurezza", delle aree-barriera, quelle vicine alle zone abitate. Pensiamo ad aree coltivate ad uva con varietà a zero trattamenti vicino a scuole d'infanzia, asili nido, case di riposo e territori densamente abitati in generale».

Parla solo di uva?

«Il discorso può valere anche per le mele. Esistono varietà resistenti. Per anni in Val di Non hanno coltivato Golden e ora sono guai, ma non mancano le alternative a zero chimica. E parlando di zero, posso citare un caso di successo nella nostra cantina: la produzione di Zero Infinito, un vino a zero impatto chimico. Uno dei nostri vini è andato esaurito in 9 giorni».

Quanto ne avevate prodotto?

«Non tanto, 4500 bottiglie, ma 9 giorni sono pochissimi. Quest'anno abbiamo spedito bottiglie in Giappone, Taiwan e Corea. Più del 50% della produzione va all'estero e all'estero c'è grandissima attenzione alla purezza e all'assenza di chimica. Gli acquirenti vogliono la qualità. Questo vale per la viticoltura, per la melicoltura, per tutto».

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