Ecco il Festival della trippa: da San Romedio a Tavon ricette, chef e tradizione

di Guido Smadelli

Vi piace la trippa? Ecco il primo Festival, in Val di Non. «Spesso quello che ci piace è legato al ricordo. E la trippa è il cibo del ricordo». Il giornalista enograstronomico Nereo Pederzolli così riassume la valenza della trippa, cibo un tempo diffuso, “amato o odiato”, che si appresta a vivere in valle il primo festival dedicato.

«L’idea è partita da noi», spiega Nicola Sicher degli Hotels Pineta di Tavon. «Abbiamo lavorato sei mesi per strutturare questa edizione zero, che inizierà domenica e si concluderà il 19. L’obiettivo futuro è di coinvolgere altre realtà, estenderlo all’intera valle, e se possibile anche oltre».

D’altronde qui la trippa è tradizione: ad iniziare da quella servita al santuario di San Romedio in occasione della ricorrenza del noto santo, dove ai pellegrini viene proposto il pranzo a base di trippa; dopo le messe al santuario molti approdano al vicino Hotel Pineta, dove da pranzo a notte si viaggiava a suon di trippe.

Il festival è supportato da Apt e Strada della mela e dei sapori delle valli di Non e Sole: «La tradizione della trippa è legata a San Romedio», commenta Elisabetta Nardelli. «Per ora sono stati coinvolti tre esercizi di ristorazione, in futuro si conta di ampliarli, soprattutto coinvolgendo i giovani esercenti, oltre trenta».

La prima fase del Festival della trippa si svolge agli Hotel Pineta di Tavon, dove oltre agli chef titolari proporranno dei menu particolari David Marchiori dell’Osteria Plip, con “un piatto tripposo” a base di raviolo di puzzone con umido di trippa (e baccalà mantecato, domenica 12), mentre lunedì 13 Giuseppe Martelli e Cinzia Natali del ristorante Champagneria propongono zuppa di ceci, trippa, ed altro; martedì è all’opera Giuseppe Bettini dell’Osteria Selvole di Ovada che cucina il tortello amaro di Castel Goffredo e la zuppa di trippa alla mantovana.

Mercoledì festa di San Romedio, e nel convento a cucinare le trippe ci sono Mattia e Bruno Sicher del Pineta; giovedì spazio allo chef Martino Longo del Dolomia di Pinzolo, che cucina la sua versione della trippa alla trentina.

Da venerdì 17 a domenica 19 infine rivisitazione della trippa nonesa in altri due locali: alla locanda alpina di Brez ed al Ristorante Le Filanda di Denno.

Un piatto che un tempo, nelle famiglie contadine, era segno di festa: s’era appena macellato il maiale, accumulando le carni che sarebbero servite per un anno intero; e mangiare la trippa era un lusso. «Nella storia della cucina, però, la trippa è stata relegata in un angolo: per certi rappresenta un simbolo di morte, un organo vitale dell’animale, come fegato ed altro, così si è passati al filetto o alla fesa, una cultura da supermercato, come se quelle non fossero carni appartenute ad un animale vivente», commenta Pederzolli, che di questo piatto è un cultore.

In occasione del «Festival della trippa», Pederzolli ha steso una sua considerazione in merito, dove spiega le usanze del passato, la difficoltà del cucinarla, l’amore-odio dei potenziali consumatori, auspicando una sua valorizzazione, dato che in Trentino era piatto tipico, poco considerato ora a seguito dell’uniformizzazione dell’arte culinaria, più varia, ma spesso meno tradizionale. Una valorizzazione che potrebbe sfociare in eventi mirati, come avviene da altre parti per altri piatti tipici locali; e che potrebbe garantire una forte identità alla tradizione culinaria trentina.

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