Scaricò i liquami nel rio di San Romedio, strage di trote: ora va a processo

Un allevatore della Val di Non e la sua azienda sono finiti sul banco degli imputati per aver causato un grave danno ambientale al rio San Romedio, di fatto sterminando l’intera popolazione di trote fario. Ad uccidere migliaia di pesci, colpendo un delicato ecosistema alpino, sarebbe stato lo scarico «selvaggio» di centinaia di metri cubi di liquami provenienti da un allevamento di Cavareno che trasformarono un angolo di paradiso in una fogna a cielo aperto.

Il fatto risale al 15 marzo dell’anno scorso. Il danno, rilevate, è stato solo in parte mitigato dal pronto intervento degli uomini del Corpo forestale della Provincia e dei volontari dell’Associazione pescatori della val di Non che per giorni combatterono contro la schiuma bianca e i liquidi scuri che avevano invaso il torrente Romedio.

Per quei fatti è stato rinviato a giudizio di fronte al Tribunale di Trento, giudice Giuseppe Serao, un allevatore 41enne di Cavareno. L’uomo è imputato di violazione dell’articolo 256 del Testo unico sull’ambiente «perché - si legge sul capo di imputazione - scaricando 264 metri cubi di liquami bovini prodotti dall’azienda agricola (omissis) nel rio Moscabio effettuava una attività di gestione rifiuti non pericolosi non autorizzata. L’imputato deve rispondere anche di danneggiamento perché in questo modo «distruggeva l’intera popolazione di pesci denominati salmo trota fario». Infine l’allevatore è finito nei guai anche perché alterava - sostiene l’accusa - «in modo sensibile l’aspetto estetico del paesaggio del rio Moscabio, rio San Romedio e Lago di Santa Giustina provocando prolungate schiume di colore bianco».

Imputata, per la legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle società, è anche l’azienda agricola che si sarebbe liberata illegalmente di 264 metri cubi di liquami riversandoli nel Rio Moscabio (che poi confluiva nel rio S. Romedio le cui acque raggiungono poi il lago) evitando in questo modo il costo di smaltimento.

L’effetto dell’ondata di liquami fu immediato e catastrofico. Per una lunghezza di alcuni chilometri i liquami maleodoranti e la schiuma bianca cancellarono la fauna ittica dal torrente. «È stato un vero disastro - ricorda Marco Gilli - presidente dell’Associazione pescatori sportivi dilettanti val di Non - era tutto morto, nel torrente non era rimasto in vita un solo pesce». L’opera dei volontari ma soprattutto la capacità della natura di sanare le ferite all’ambiente inferte dall’uomo hanno lentamente ridato vita al torrente.

«Le acque - spiega Gilli - ora sono tornate pulite come dimostrano i campionamenti che abbiamo fatto. Abbiamo quindi iniziato a ridare vita al torrente immettendo in un tratto trote marmorate, questo è un esperimento che abbiano condotto con il Servizio faunistico, e trote fario in un altro tratto».

È presto per fare bilanci, ma possiamo già dire che i pesci sono tornati a nuotare nelle acque del rio San Romedio. «Siamo fiduciosi - sostiene Gilli - crediamo che in 4-5 anni la situazione sarà tornata alla normalità anche se il danno causato rimane notevole». Intanto la pesca lungo il rio San Romedio sarà chiusa anche per il 2019.

La convivenza con gli allevamenti (ma anche con l’agricoltura) non è sempre facile. In occasioni di forti precipitazioni capita spesso che ci sia uno sversamento di liquami, ma i danni ambientali in genere sono contenuti. In questo caso i 264 metri cubi di liquami gettati nel torrente sono ben altra cosa. Nel procedimento penale contro l’allevatore finito a processo, Provincia e Ministero dell’Ambiente sono parti lese, dunque con facoltà di costituirsi parte civile. Un passo che farà anche l’Associazione pescatori della Valle di Non che all’epoca aveva sporto querela contro ignoti. Il presunto autore del danno ecologico è stato identificato. Il processo a carico dell’allevatore, difeso dall’avvocato Maria Rosa Visintin, inizierà a metà di febbraio.

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