Raffaella, Oss al Santa Chiara «Sto vivendo fuori casa per amore dei miei cari»

di Matteo Lunelli

C’è una grande dose di amore nelle scelte fatte da Raffaella Aversa, Oss al Pronto Soccorso del Santa Chiara di Trento. Amore per la sua famiglia. Amore per il suo lavoro. Amore per la sua comunità. E anche tanto coraggio. Ormai da giorni («Quanti? Oddio, ho perso il conto...») vive lontana dalla sua casa e dai suoi affetti, in uno degli alloggi messi a disposizione dalla Protezione Civile per il personale sanitario.

Perché questa scelta?

Lavorando nel Ps Covid ogni giorno tornavo a casa mia, a Mezzolombardo, con la consapevolezza di essere potenzialmente infetta. E allora dopo aver tenuto la mascherina e i guanti tutto il giorno al lavoro, continuavo a indossarli anche a casa. E stavo distante, attenta. Una situazione che non sopportavo più, perché avevo paura di contagiare mio marito e la mia famiglia. Così ho deciso di restare lontana.

Ci vogliono coraggio, altruismo e generosità.

Di sicuro è doloroso allontanarsi dai propri affetti e dalla propria quotidianità, ma volevo azzerare i pericoli per chi viveva con me. Così quando ho saputo che la Protezione civile metteva a disposizione degli alloggi ci ho pensato bene e ho deciso di agire. So di tante persone in giro per l’Italia che non hanno questa opportunità e devono andare in affitto per salvaguardare i propri cari e continuare a lavorare. Qui in Trentino per fortuna c’è stata questa bella iniziativa e ho deciso di coglierla.

La fatica per chi coglie questa opportunità è doppia: il lavoro, come immaginiamo, è più duro e poi si è da soli anche dopo i turni.

Tutti i giorni, da settimane, abbiamo a che fare con questo nemico invisibile ma nel gruppo si è creata una grande unione: umanità e coraggio che tutti portano nei reparti ogni giorno danno la carica. E poi ci sono i riconoscimenti da parte dei cittadini, visto che continuano ad arrivarci pizze, brioches, disegni, attestati di stima. Questo affetto enorme è il nostro carburante, ci dà la forza in questa battaglia quotidiana. E a me ha dato anche la forza di decidere di allontanarmi da casa.

Eppure sarebbe proprio il momento in cui un abbraccio la sera quando si torna, un pasto caldo trovato già pronto, un sorriso amico sarebbero d’aiuto.

È vero, ma negli ultimi tempi avevo deciso di distanziarmi da tutti per evitare di compromettere la loro salute. In gioco c’è, potenzialmente, la vita di tutti. È dura, ma lo si fa per chi si ama. Dopo i turni qui ho la mia cameretta, poi il bagno e la cucina sono in comune. E ho il telefono, che squilla in continuazione.

Se la vita è cambiata lo stesso si può dire per l’ospedale: nell’ultimo mese, di fatto, è un altro luogo.

È verissimo: oltre alla vita privata di ognuno di noi anche la nostra seconda casa è totalmente cambiata. Gli scenari quotidiani sono stati stravolti totalmente. Personalmente buona parte del turno lo trascorro nel Ps “nuovo”, che in realtà sarebbe quello vecchio. Si tratta di un’area per i pazienti Coronavirus positivi, non per i sospetti. E lì bisogna muoversi con attenzione, i gesti normali e quotidiani non sono permessi, a partire da bere un po’ d’acqua. Ma è un sacrificio per tutti in nome delle preoccupazione di contaminarsi e contaminare.

La prima cosa che farà quando tornerà a casa e l’incubo Covid-19 sarà finito?

Più che una pizza in compagnia o una cena a me manca molto l’abbraccio. Non vedo l’ora. Un grande abbraccio con le persone che amo. E poi una camminata nel bosco, godendomi la primavera.

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