Sarche, cementificio tecnologico

«Quest’anno si doveva festeggiare il 50° di produzione... invece, dopo che si è fatto tutto il possibile perché non avessero scuse, siamo qui a chiederci quali prospettive ci sono per le famiglie della valle che vivono sul cementificio». Il sindaco di Calavino, Oreste Pisoni, è amareggiato, ma anche arrabbiato di brutto: «C’è tutta una storia dietro che bisogna conoscere...»
Sindaco, racconti!
È una questione che va avanti da 3 anni, già a quel tempo si parlava di chiusura dello stabilimento di Ponte Oliveti: così quando il cementificio ha fatto al Comune la proposta di poter di bruciare i fanghi biologici civili da depuratore, l’amministrazione ha preso una posizione scomoda di fronte alla popolazione, ma ponderata. Con questa possibilità l’impianto diventava competitivo e ci veniva garantita la continuità della produzione: c’erano 60 posti di lavoro da salvare, e altri 40 con l’indotto, difficili da reintegrare poiché si era nel momento cruciale della crisi.
Effettivamente poi la riconversione andò in porto; e per un periodo i fanghi vennero utilizzati come combustibile. Quindi andava tutto bene?
L’azienda aveva investito 300 mila euro per la riconversione dell’impianto, e questo dava una certa sicurezza. Invece a fine 2014 sono stato convocato al cementificio dove mi è stato comunicato che il forno veniva spento dal 3 gennaio e che per tutto l’anno non sarebbe stato in funzione perché avrebbero portato il clinker da Rezzato per la macinatura.
Con che garanzie per i posti di lavoro?
Per i lavoratori cominciava la cassa integrazione a rotazione, mentre alcuni venivano spostati a Rezzato. Mi sono rivolto subito alla Provincia per capire qual era il piano industriale del cementificio, ho interpellato tecnici, funzionari e anche persone più in alto. Dai primi incontri sembrava che ci fosse la garanzia che a febbraio 2016 la cassa integrazione sarebbe finita, poi non ho più avuto risposta.
Lei sindaco ha detto è stato fatto tutto il possibile, cosa intende?
Era tutto a posto, la concessione per la cava rinnovata per 15 anni, le autorizzazione per bruciare i fanghi e abbattere i costi... È un cementificio piccolo, ma è un gioiellino tecnologico: si sperimentavano nuovi materiali, si facevano le prove per un tipo di cemento che doveva servire per la realizzazione del tunnel del Brennero. E proprio questa grande opera, di portata internazionale, poteva tenere in piedi lo stabilimento di Ponte Oliveti, almeno per alcuni anni. Ma anche un anno in più vuol dire dar lavoro alla gente, e un sostentamento alle famiglie della valle dei Laghi, di Calavino, Lasino, Pergolese, Cavedine: per questo, anche se non era facile, avevamo dato l’autorizzazione per i fanghi.
Adesso la doccia fredda. Era nell’aria?
Sembrava ci fossero delle prospettive. Ora sicuramente vedremo di battere tutte le strade possibili per trovare una soluzione. Lunedì mi incontro con gli operai per vedere cosa può fare il Comune. E attendo di sapere come intende muoversi la Provincia.
Non è proprio il caso di festeggiare... Cinquant’anni di produzione ha detto?
Io sono del ’52 e sono cresciuto con il cementificio, che è stato costruito nei primi anni ’60 e messo in funzione nel ’65. Allora non c’era niente e dava lavoro a 140 operai, poi con la tecnologia la manodopera è stata via via ridotta, fino ad arrivare ai 53 di adesso. Con tutti i problemi di un cementificio - siamo ricorsi anche al Tar per far mettere in filtri - quello di Ponte Oliveti è sempre stato un impianto importante per la valle. E la contraddizione è che, in questo momento, è un gioiello tecnologico e anche l’inquinamento è ridotto al minimo.

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