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La montagna "gentile" del giovane Filippo Crespi, da Carpi a Breguzzo

Via dall'Emilia per inseguire una passione che è diventata lavoro: piste da sci come maestro e pareti come scalatore:  trecento vie, in tutto il circondario e nel resto dell'arco alpino, più di venticinque quattromila. Una volta era un mago dei pedali, ma ora dice: «La bici è ripetitiva, mentre l'arrampicata prevede il gesto tecnico e l'estetica»

di Giuliano Beltrami

BREGUZZO. Meglio il frastuono della città o il silenzio della montagna? La massa non ha dubbi: lo racconta la storia, con le città che si gonfiano sempre più. Nemmeno Filippo ha dubbi: lo racconta la sua scelta di vita, con la fuga dalla città per vivere nelle Terre alte. Vivere significa lavorare e (perché no?) divertirsi.

Ma partiamo da lontano: da Carpi, cittadina in provincia di Modena, in fondo al corridoio d'asfalto che porta dritti dai monti alla pianura.Filippo Crespi nasce lì 28 anni fa e nei giorni la Sosat lo ha premiato con il Chiodo d'Oro (vedi a lato) nel corso del Film Festival della Montagna. Infanzia e adolescenza in città, ma con avvicinamenti alla montagna che lo influenzeranno nelle scelte da adulto.

«Sì - conferma - perché il nonno aveva acquistato un appartamento a Pejo, perciò ci passavamo l'estate. La mamma, maestra, alla fine della scuola mi portava lassù».

"La montagna non cammina, sol la gente viene e va", scriveva più di un secolo fa un poeta contadino del Chiese. Filippo viene, poi va. Infine torna: la montagna sa aspettare. Prima dell'alpinismo attacca il ciclismo. «Ho cominciato da bambino, e fino a diciassette anni ho fatto agonismo in bici».

Iniziato presto e finito prestissimo. Per usare una frase stantia, ha appeso la bici al chiodo quando non era ancora cresciuta la barba. Fra l'altro si stava avvicinando rapidamente il momento della svolta.«Vero - ammette Filippo - la svolta arrivò a diciotto anni. Mi era passata la voglia di studiare, ma probabilmente facevo sempre più fatica a stare in città». E se passa la voglia di studiare... Anticipa la nostra conclusione Filippo. «Fui bocciato in quarta liceo, così decisi di trasferirmi in Trentino».

Ovviamente non sceglie la città, ma il paesino: Breguzzo, meno di seicento anime, là dove la valle della Sarca sta per scavallare in quella del Chiese. Stradine tranquille, bambini che giocano, villeggianti sì, ma non troppi: non tanti da rompere la quiete. "Ho finito il liceo scientifico a Tione, e soggiornavo alla pensione Serena di Breguzzo", racconta. «Ci ho anche lavorato dopo il diploma, aiutando gli studenti delle prime».

Breguzzo può non dire molto ai più, ma da qui hai un colpo d'occhio sul Brenta e sull'Adamello, sulle vette e sulle creste. Se poi ti giri verso sud puoi sgattaiolare in Val Daone e aggredire l'Adamello da un'altra parte. Insomma, montagne dappertutto.

E Filippo capisce che questa è la sua vita. Si ingegna su due versanti: quello invernale (diventa maestro di sci) e quello estivo (sta per diventare guida alpina).

Nel frattempo entra nel Soccorso Alpino della valle del Chiese: entra e diventa vice-capostazione. «Sono molto contento, perché ho trovato un ambiente che mi fa star bene». La stazione ha vissuto quattro anni fa una sorta di rivoluzione generazionale: basti dire che il capostazione, Jeremy Faccini, ha appena un paio d'anni più di Filippo.

Quindi, lavoro e divertimento, ma anche impegno sociale. Verrebbe da pensare che fare soccorso alpino nel Chiese significhi rincorrere escursionisti che si perdono...

«Abbiamo principalmente un terreno boschivo spesso insidioso - risponde Filippo - caratterizzato da versanti ripidi. Però non mancano le rocce».

Se parli di soccorso, vengono in mente lo sci alpinismo, i fungaioli e i boscaioli. «Si pensa ai grandi interventi in parete, però anche qui ci sono interventi complessi».

E le Pareti di cristallo? «Le cascate di ghiaccio della Val Daone sono meno frequentate di un tempo, un po' perché è diminuita la moda, ma poi perché sono cambiate le condizioni: periodi ideali sempre più brevi». Maledetti cambiamenti climatici! Soccorso Alpino è impegno sociale. Il lavoro, lo abbiamo detto: diventa maestro di sci e guida alpina, entrambi associati a scuole di Campiglio. Poi c'è il divertimento. Filippo si è già sciroppato qualcosa come trecento vie, in tutto il circondario, ma anche nel resto dell'arco alpino. E cita Pizzo Badile, Crozzon di Brenta, Lavaredo, Bianco, Rosa... E' così che qualcuno lo ha proposto per il "Chiodo d'oro" della Sosat .

«Inaspettato», assicura. E poi: «Dal 2013 ho fatto con continuità attività alpinistica. Non sono mai andato all'estero, e mi piacerebbe, ma devo trovare lo stimolo giusto. Non sono interessato, almeno per ora, agli ottomila. Piuttosto il Mckinley (Alaska) o il Perù». Nel curriculum Filippo ha più di venticinque quattromila delle Alpi. Dove sta il fascino dell'arrampicata?

«Ci sono due componenti - risponde - una sportiva e una paesaggistica. La sportiva, nel senso del gesto: la bici è ripetitiva, mentre l'arrampicata prevede il gesto tecnico e l'estetica».

La componente paesaggistica? «Beh, basta guardare il mondo dall'alto per capirlo».

E l'avventura? «Non sono un grande avventuriero: infatti non ho mai aperto vie».Alpinismo, sport individuale? «Individuale perché scali da solo. Però spesso si va in due. Il compagno d'avventura è fondamentale, perché ci si motiva e insieme si cresce: si condividono delusioni, ma anche gioie quando si arriva in cima», chiude Filippo, e lo dice con l'aria gentile, da uomo mite.

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