Davide Donati lascia la Rurale via lo storico direttore alla vigilia della grande fusione

di Giuliano Beltrami

Maggio, mese di assemblee societarie e bilanci. Di solito la Cassa Rurale Giudicarie Valsabbia Paganella riuniva i giornalisti per la presentazione dei dati in un comodo ristorante. Stavola niente piatti tipici.
Si sa, Coronavirus costringe ognuno davanti al suo computer. E niente dati di bilancio. Ma non manca il piatto più sfizioso: le dimissioni del direttore generale.
Proprio così. Davide Donati, 58 anni, 31 dei quali passati in Cassa Rurale, 25 da direttore, ha deciso di abbandonare. Dopo l’introduzione del presidente Andrea Armanini, morbida com’è nel suo stile, in cui parla della fusione in vista con la consorella Adamello che porterà ad una unica Cassa delle Giudicarie, la parola passa a Donati, che per l’occasione ha perso il piglio brillante e a tratti si fa travolgere dall’emozione. Sarà anche perché è arrivato al cinquantaquattresimo giorno di clausura ed al settimo tampone positivo... Dopo la conferenza stampa lo attende l’ottavo, “e che Dio me la mandi buona!”; 54 giorni in casa, “ma ho lavorato come non mai”, precisa subito a scanso di equivoci.
Inevitabile ripercorrere una carriera da leoni. 1 agosto 1989: scappa da Milano, dove aveva iniziato una carriera da avvocato, per tornare al paesello di nascita. “Quando sono entrato nella Cassa Rurale di Darzo e Lodrone eravamo in 16 ed ero il primo laureato della banca”. Quattro dati per dire come il mondo è cambiato: in 30 anni si è passati da 555 a 8.416 soci; la raccolta era l’equivalente di 24,5 milioni di euro, mentre oggi è di 1.223 milioni; i prestiti alla clientela sono passati da poco più di 8 milioni di euro a 619 milioni; il patrimonio da 1,7 milioni a 88; gli sportelli da 3 (prima Cassa trentina ad aprire una filiale oltre confine, nel Bresciano) a 25. E i dipendenti? Da 16 a 150.
Senza false modestie, Davide Donati sa che molta parte di queste conquiste si devono alla sua persona: carattere non facile, ma uomo di visioni che ne fanno uno dei direttori del credito cooperativo trentino capaci di vedere più lontano (parole nostre, e non solo). Inevitabili i ringraziamenti a tutti quelli che lo hanno supportato: presidenti, consigli di amministrazione, collegi sindacali e soprattutto collaboratori. E’ orgoglioso Donati di aver tirato su una classe di giovani motivati che chiudono la porta della Cassa ben oltre gli orari canonici. D’altronde la sua idea di Cassa è “prima di tutto cooperativa, e poi banca. Deve avere come obiettivo strategico l’intervento in favore dei soci e delle comunità di riferimento. Lo diceva già lo statuto del 1902. Quello che ci ha fatto distinguere e preferire è proprio l’interpretazione di Cassa Rurale”. Un’altra freccia al suo arco: 1.600 nuovi clienti l’anno scorso. “Fra loro molti che hanno deciso di chiudere il rapporto con altri istituti per venire con noi”.
La faretra è ricca. “Nella mia carriera sono lieto di aver contribuito a creare i GOL, Gruppi Operativi Locali, le antenne sul territorio in aiuto del Consiglio di Amministrazione per gli aspetti non bancari, ossia il rapporto con il mondo delle associazioni e degli enti”. E per associazioni ed enti, la Cassa Rurale Giudicarie Valsabbia Paganella, avendo fatto quello che Donati definisce “il più bel bilancio della sua storia”, ha messo lì un milione di euro. Ora si cambia capitolo: si andrà a fusione con l’Adamello, senza Donati. Il direttore designato dalla capogruppo sarà Marco Mariotti, dell’Adamello, appunto.
Non ci sarà Donati, che (sarà quella che i latini definivano la goccia di veleno nella coda?) racconta in conclusione la trama del film sulla scalata dell’Everest: “A 200 metri dalla vetta c’è la grande discussione: c’è chi vuole andare avanti e chi vuole tornare indietro. Chi va avanti giunge in vetta ma non tornerà a casa, mentre chi rinuncia tornerà a casa”. Lui rinuncia. Certo, motivi di salute: il cuore non regge ai suoi ritmi. Ma è solo quello?

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