Alla Rsa Santa Croce: "Non smetteremo mai di dare un abbraccio"

di Denise Rocca

Gli operatori della casa di riposo di S.Croce, gravemente colpita dal coronavirus - ad oggi una ventina di ospiti sono ancora nella sezione Covid-19 e i deceduti sono 27 - raccontano la loro quotidianità da quando tutto questo è iniziato. Le mansioni sono quelle di prima, ma è tutto più complicato, «Cominciamo col vestirci, per proteggere noi e loro dalla “brutta bestia” - raccontano - e mentre la collega inizia a raccontare di come è andata la notte, le chiediamo: chi ci ha lasciato? Già, lasciato, perché ogni ospite, ogni nonno, fa ormai parte della nostra vita quotidiana, e quando ci lascia insieme a lui se ne vanno via anche un po’ dei nostri, di ricordi e ci piange il cuore. E poi si parte, buongiorno e sorridiamo dietro la maschera anche se il sorriso non si vede, ma sappiamo che si sente. Ci prendiamo cura di loro, li aiutiamo ad affrontare un’altra giornata lontano dai loro cari, cerchiamo di non far sentir loro la lontananza».

Loro, gli operatori, che sono diventati l’unico contatto fisico e reale per gli anziani ospiti della struttura, spesso anche l’unico mezzo per comunicare con figli, nipoti, parenti via telefono e videochiamate. «Qualcuno, i più fortunati - raccontano - ha il cellulare e quasi ogni giorno una voce cara arriva, da lontano magari, ma arriva. Per tutti gli altri cerchiamo di arrivare noi, con la nostra voce camuffata dalla mascherina, con una carezza, con una stretta forte alle mani, con un abbraccio. Si, perché gli abbracci non abbiamo smesso di darli. Sono tanti gli abbracci, dentro alla casa, ci sono anche tutti quelli che, fuori da lì, non possiamo né dare né ricevere. Così ci abbracciamo, e lo facciamo per noi e per loro, per i loro figli e per i loro nipoti, perché nessuno si senta solo».

È anche un messaggio a rassicurare le famiglie che i loro cari non li vedono ormai da tanto tempo e vivono l’angoscia di non sapere come va, di perdersi dei momenti che sono preziosissimi con gli anziani nella loro fragilità.

«Siamo sempre stati gli angeli custodi dei vostri cari - spiegano ai famigliari - e continueremo ad esserlo. Siamo i vostri occhi, le vostre mani, i vostri abbracci, i vostri “ti voglio bene mamma”. Piangiamo anche le vostre lacrime. A volte ce ne accorgiamo solo quando la maschera si appanna».
E gli ospiti i loro angeli custodi li ringraziano ogni giorno: c’è tanta umanità in casa di riposo. Ce n’è sempre stata, hanno ragione le operatrici, come nei reparti ospedalieri e in tutti i luoghi dove la sofferenza è una costante, ma più di prima i nonnini ringraziano i volti che da dietro le maschere ogni giorno si prendono cura di loro.

«Quando a fine turno, per il riposo o per la notte, ci salutiamo, chi ancora ha la forza e il fiato per parlare ci ringrazia, ci dice che ci ricorderà nelle sue preghiere. Chi non ha più fiato non parla, ma ci basta guardarlo negli occhi, e lì troviamo tutta la gratitudine del mondo. Nella vita normale, quella di tutti i giorni, quella di prima, non ci rendiamo conto che riceviamo molto più di quello che diamo e che è solo con la gratitudine che la vita si arricchisce davvero. In questo momento sono tante le persone che ci incoraggiano, che ci dicono di non mollare. Ma ogni giorno è più dura.
Talvolta una di noi crolla, stremata dai turni prolungati, con i riposi che saltano perché arriva la telefonata della collega che non sta bene.
Siamo fatte di carne, ma siamo costrette a vivere come se fossimo fatte di ferro. Per fortuna abbiamo il cuore grande, e riusciamo a farci stare dentro tutti, le nostre famiglie e le vostre, i nostri cari e anche i vostri, tutti stretti in un unico grande abbraccio».

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