«Funerale» per il Tuckett il requiem di Legambiente per i ghiacciai che scompaiono

di Denise Rocca

Un funerale al ghiacciaio del Tuckett: lo ha celebrato domenica mattina una delegazione di Legambiente, che ha raccolto la provocazione lanciata lungo tutto l’arco delle Alpi in questi giorni dall’iniziativa “Requiem per un ghiacciaio”. Sabato era stata Mountain Wilderness a salire sulla Marmolada per testimoniare la situazione difficile dei giganti di ghiaccio, messi in ginocchio dal riscaldamento globale che ha fatto accelerare il processo di scioglimento a livelli drammatici. Una delegazione di 25 persone è salita a piedi al Rifugio Tuckett, da dove ancora si vede un residuo di ghiaccio che è tutto quello che è rimasto di una superficie che, in questa zona del Brenta una volta, nel periodo di massima estensione, era di circa 90 ettari, mentre oggi il ghiaccio del Brenta si è frantumato in macchie sparse che, pure se sommate fra di loro, non arrivano a 15 ettari di ampiezza.
Se lo scioglimento dei ghiacciai è iniziato già negli anni Ottanta, è però negli ultimi 13 anni che la situazione è precipitata. Lo ha spiegato Alberto Trenti direttore di Meteotrentino, invitato da Legambiente con il glaciologo Christian Casarotto a fare un approfondimento scientifico sulla situazione dei ghiacci in quota. «Dal 1987 - ha spiegato Trenti – sulle Alpi nessun ghiacciaio ha più avuto un bilancio positivo. Ci fu al tempo un’accelerazione talmente netta nello scioglimento che inizialmente ci si interrogò se non ci fosse un problema di strumentazioni e misurazioni. Ma poi, il tempo lo ha dimostrato, si è capito che si era davanti ad una netta inversione di tendenza. Ora c’è stata un’altra accelerazione se pensiamo che i 7 anni più caldi del secolo sono tutti negli ultimi 13 anni». Proprio qui, di fronte al Tuckett, nel cuore del Castelletto, c’era una grotta con del ghiaccio, la cui evoluzione storica mostra bene questa inversione di tendenza iniziata negli anni Ottanta: «A metà del 1.500 qui dentro si formò una cuspide di ghiaccio - ha illustrato Casarotto - che aumentava con una velocità di circa 5 centimetri all’anno fino ad arrivare a 20 metri di altezza. Nel 1980 l’inizio di una tendenza negativa molto veloce, tanto che sparivano circa 14 centimetri all’anno».
Fare un funerale al ghiacciaio del Tuckett è, purtroppo, appropriato: «Oggi la macchia che vediamo di fronte a noi - ha detto Trenti – è di 4 ettari appena, e non è più considerata un ghiacciaio dal punto di vista tecnico.Oggi parlare di ghiacciai sul Brenta è un po’ un’illusione, l’unico che può ancora essere definito tale dopo che nel 1950 ci fu la grande scissione del blocco originario che arrivava fino sotto al rifugio, è il ghiacciaio dell’Agola». La delegazione trentina di Legambiente ha raccolto la provocazione dell’associazione nazionale che si è recata su tanti ghiacciai dalla Val d’Aosta al Piemonte al Trentino, per sensibilizzare la popolazione sul problema ma anche chiedere azioni concrete, sull’onda del movimento Friday For Future: «In Trentino - hanno spiegato in vetta i delegati – si parla di politiche che vadano verso la mobilità sostenibile ma anche di ripensare tutti quei progetti di nuovi impianti sciistici o di autostrade come la valdastico che hanno un costo ambientale enorme. Una contraddizione dire di voler fare politiche ambientali e poi essere favorevoli alla Valdastico. Lo hanno detto i giovani di Friday for Future e questo concetto lo facciamo nostro. Sono oltre vent’anni che Legambiente parla di riscaldamento globale, ora forse è arrivato il momento di vedere delle azioni da parte della politica». Riscaldamento globale che è opera dell’uomo, alla faccia di teorie negazioniste che ancora fanno proseliti, lo ha voluto ribadire con forza Alberto Trenti: «In 50 anni le temperature sono aumentate di 2,5°C, sono soprattutto le temperature minime ad essere aumentate ed è questo “tiepore” diffuso e costante il problema maggiore per i ghiacciai. Un “tiepore” direttamente connesso ai gas serra, sono loro a mantenere alte le minime, pensare che l’aumento vertiginoso della CO2 che abbiamo causato con l’industrializzazione non c’entri nulla è una sciocchezza».
Un funerale è una fine, ma è anche, nella storia del nostro pianeta, un inizio: «Non limitiamoci a parlare di funerale - ha concluso Casarotto - perché i cambiamenti sono parte della natura. L’azione umana va moderata e deve cambiare, col cambiare della montagna. E anche se immediatamente cessassimo la produzione di gas serra per un periodo che va dai 30 ai 50 anni prossimi non vedremo grandi miglioramenti, solo un rallentamento. La montagna oggi è una montagna in cambiamento, riflettere su questo è un punto di partenza e non solo di fine».

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