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Cavalese, il popolo non vuole vendere l'Azienda elettrica municipale, al referendum schiacciante vittoria dei «sì»

«Volete che resti al Comune?» In 979 dicono sì, solo 44 no. Esulta il comitato di Carlo Betta, ma il sindaco Finato (che deve approvare la decizione) non si espone, non si pronuncia, non dice che fermerà l’iter né che lo completerà

di Andrea Tomasi

CAVALESE. Volete che l'azienda elettrica comunale resti di proprietà del Comune di Cavalese? Questa era la domanda posta ai cittadini col referendum di domenica. La risposta dei votanti: 979 sì, 44 no, 3 schede bianche, una scheda nulla, 1023 voti validi (gli aventi diritto al voto sarebbero stati 3359). Non una grande affluenza, considerato anche che si votava in una domenica di luglio, ma un esito chiaro.E ora si tratta di capire cosa accadrà, cosa farà la maggioranza retta dal sindaco Sergio Finato che in consiglio comunale aveva deliberato di vendere l'azienda a Dolomiti Energia (per quanto riguarda l'attività di commercializzazione) e a Set (per il ramo distribuzione), mantenendo in capo al Comune la produzione di energia con la proprietà della centralina del Tabià (che verrà potenziata), così come dell'illuminazione pubblica e dei dipendenti.

Esulta Carlo Betta, promotore della raccolta firme, che ha fatto di tutto per fermare il processo di cessione di quello che viene considerato un patrimonio del territorio. Quando ci sono mille cittadini che si esprimono in un certo modo non puoi fare finta di niente. Ti devi comportare di conseguenza. Parliamo di un terzo dell'elettorato. È la democrazia: una schiacciate maggioranza ha detto du volere mantenere l'azienda elettrica».

Betta va oltre. Dice che il Comune non ha organizzato momenti di confronto e informazione. «Hanno anche ritardato l'uscita del notiziario comunale».

Sessantaquattro anni, segretario della Magnifica Comunità di Fiemme, Betta viaggia verso il traguardo della pensione. Del caso azienda elettrica si è interessato fin dal primo giorno.

Non lo hanno convinto le parole del sindaco che ha fatto riferimento alla delibera della giunta provinciale: «È una strada obbligata - ha detto Finato - visto che le norme ce lo impongono. L'anno prossimo finisce il mercato tutelato, quindi l'amministrazione non sta facendo altro che anticipare i tempi, piuttosto che subire gli eventi. Vanno fatte delle scelte e noi abbiamo deciso di tenere la produzione, potenziando la centralina con investimenti pubblici, migliorando l'impianto di illuminazione e tenendo il personale dell'azienda».

E adesso che c'è stato il referendum? Il sindaco Finato usa toni morbidi. Non tira dritto, ma neanche dice che l'iter amministrativo verrà fermato: «Faremo dei ragionamenti come maggioranza».A Set (soggetto partecipato da Provincia e Comuni) verrebbe ceduta la distribuzione mentre in capo a Dolomiti Eenergia ci sarebbe la commercializzazione. «È solo una questione di tempo» dice il primo cittadino. Come dire che il solco è segnato e c'è chi si affida all'immagine automobilistica: meglio vendere l'auto adesso piuttosto che fra qualche anno, quando il valore rischia di essere inferiore. «Con il conferimento il Comune si garantisce dei dividendi. Tra parte commerciale e parte contributiva parliamo di una cifra che si aggira attorno ai 90.000 euro all'anno».

Insomma - fa capire - ci sarebbe tutto da guadagnare e nulla da perdere, perché la norma provinciale sarebbe pensata per evitare che certe aziende medio-piccole diventino facile preda di privati extra regione.La minoranza del consiglio provinciale è intervenuta con un comunicato: «I cittadini hanno ben compreso e sostenuto l'importanza dell'autogoverno del proprio patrimonio energetico e viceversa hanno dimostrato di non aver condiviso né compreso le ragioni di una proposta di cessione dell'Azienda in cambio di azioni, apparsa da subito contraddittoria rispetto alle sue premesse normative ed economico-finanziarie. Infatti, come è stato dimostrato con ampie relazioni e testimonianze dirette e pubbliche, le affermazioni del sindaco sull'obbligatorietà di Legge per la cessione e quelle dell'assessore Berlanda sulla non sostenibilità economica e finanziaria futura dell'Azienda sono state smentite dalla semplice lettura del dettato normativo e dalla relazione dell'unico consulente comunale incaricato di verificare lo stato di salute e la redditività dell'Azienda. Relazione che si è conclusa affermando in sintesi che non vi è alcuna ragione economica e patrimoniale per vendere i due rami di AEC: "il maso di famiglia". Al sindaco Finato va ricordato come il potere implica la capacità di effettuare dei cambiamenti, anche di idee». A urne fredde la discussione è ancora caldissima.

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