Giustizia / La sentenza

Morto in una cella frigo del consorzio Cfc di Cles di Melinda, tutti assolti

La sentenza definitiva dopo otto anni dalla morte dell'operaio, un giovane albanese di 27 anni. La famiglia della vittima era uscita dal procedimento già nel 2015, dopo l'accordo sul risarcimento e la liquidazione della cifra pattuita con le compagnie assicurative, per un totale di 750mila euro

TRENTO. Non ci sono responsabilità penali per la morte dell'operaio Aldo Boci, trovato senza vita in una cella frigo del consorzio Cfc di Cles gestito da Melinda. La sentenza di assoluzione di primo grado, confermata anche dalla Corte d'appello, è diventata definitiva. La Corte di Cassazione ha infatti respinto il ricorso della procura generale giudicato inammissibile.

Ad oltre otto anni dai fatti possono tirare un respiro di sollievo l'ex presidente di Melinda Michele Odorizzi; il direttore del magazzino Cfc Franco Gebelin; il responsabile del Servizio prevenzione (Rspp), Federico Zanasi; il datore di lavoro della vittima, Casimiro Longo. Per tutti e quattro gli imputati l'assoluzione - sollecitata dagli avvocati Stefano Dalsoss, Paolo Dematté e Nicola Stolfi - era venuta «perché il fatto non sussiste».

La famiglia della vittima era uscita dal procedimento già nel 2015, dopo l'accordo sul risarcimento e la liquidazione della cifra pattuita con le compagnie assicurative, per un totale di 750mila euro. Aldo Boci, operaio di 27 anni di origine albanese, dipendente della Longofrigo di Bergamo il 3 ottobre 2013 era arrivato in val di Non assieme ad un collega per un intervento nel magazzino di proprietà del consorzio Cfc di Cles, gestito da Melinda. I due tecnici avevano lavorato tutto il pomeriggio sugli impianti di refrigerazione.

I lavori erano ormai conclusi quando Boci, come ricostruito dai successivi accertamenti, si fermò a sostituire una ventola all'interno di una cella frigo, mentre il collega raggiungeva gli uffici per farsi firmare la documentazione. Poco dopo il giovane operaio albanese venne trovato senza vita all'interno della cella numero 34: si era accasciato all'improvviso mentre si trovava su un carrello elevatore ad alcuni metri dal suolo.

Cosa era successo al povero operaio? La prima risposta era stata avvelenamento da azoto a causa del malfunzionamento di un rubinetto, ma l'ipotesi poi non venne confermata dagli accertamenti medico-legali. Secondo le difese nella cella frigo c'era ossigeno sufficiente; il decesso potrebbe essere dipeso da un improvviso malore per cui non sono responsabili gli imputati. Venerdì la Suprema corte ha messo la parola fine in calce a questa complessa vicenda giudiziaria.

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