Istruzione / La sentenza

«Si possono ritirare i figli da scuola e insegnare loro privatamente a casa»

Il caso di cinque famiglie della Val di Fassa che avevano scelto il sistema «homeschooling»: l’istituto li aveva denunciati, ma il Tar ha dato loro ragione, è legittimo

VAL DI FASSA.  La scuola non è ancora finita, ma i genitori che hanno avviato l'educazione parentale per i loro figli sono stati "promossi". Il Tar di Trento, infatti, accogliendo nel merito il ricorso presentato da cinque famiglie della val di Fassa e dal responsabile del progetto didattico, ha annullato il provvedimento con cui, l'allora dirigente scolastico, aveva respinto la richiesta dei genitori di ritirare i figli dall'istituto comprensivo ladino di Fassa, Scola Ladina de Fascia, per avviare l'istruzione parentale - il nodo riguardava la tempistica - facendo poi partire la segnalazione ai Comuni per la mancata frequenza scolastica dei minori.

I magistrati, sul punto, sono chiari: l'istruzione familiare-parentale è un «diritto-dovere subordinato (solo) alla dimostrazione da parte dei genitori di avere la capacità tecnica ed economica adeguata», ma non alla presentazione entro un termine preciso della richiesta di avvalersene. I giudici amministrativi hanno invece respinto la richiesta di risarcimento - un milione - che era stata avanzata dai ricorrenti, dal momento che, dopo la sospensione del diniego disposta dai giudici nel novembre scorso, i figli avevano comunque potuto usufruire della istruzione famigliare.

Quanto alle spese di lite, alla luce dello «spirito conciliativo» che, alla fine, hanno mostrato le parti rispetto all'asprezza iniziale, sono state compensate. La vicenda definita dal Tar riguarda alcune famiglie della val di Fassa che, assistite dagli avvocati Eugenio Picozza e Rosa Rizzi, hanno contestato i provvedimenti della scuola, sostenendo che violassero il diritto garantito dalla costituzione all'istruzione parentale - familiare.

I bambini erano stati iscritti alla scuola primaria - tre in prima e uno in terza - ma le famiglie avevano poi deciso di ritirarli per seguire il cosiddetto homeschooling. Scelta, come evidenziava il ricorso, dettata da ragioni didattiche e non mossa da critiche alla scuola pubblica. Una possibilità disciplinata anche dall'ordinamento provinciale: i genitori devono allegare alla richiesta di ritiro il progetto educativo (coerente con i piani di studio provinciali) e assicurare di avere requisiti e mezzi per provvedere all'istruzione del proprio figlio.

A fare scattare il diniego da parte dell'istituto scolastico era stata però la tempistica: le domande erano state infatti presentate oltre il termine di iscrizione alla scuola del 31 gennaio 2020 - stabilito da due distinte delibere della giunta - senza che presentassero quel carattere di "eccezionalità" richiesto dalla normativa.

Le famiglie, in effetti, avevano comunicato il ritiro dei figli in agosto e, nonostante non vi fosse il via libera della scuola, avevano deciso di avvalersi della didattica offerta dalla Scuola Maria Chiara Nordio di Treviso - una scuola parentale - iniziando il progetto di istruzione parentale, dopo avere individuato gli insegnanti e una sede unica per la didattica dei quattro bambini.

A fronte dell'assenza dei minori in aula, però, come prevede la legge, dall'istituto erano partite le segnalazioni ai Comuni per la mancata frequenza dei figli. Provvedimenti che, unitamente al diniego al ritiro, sono stati impugnati. E ora il Tar li ha annullati.

Il diniego, come detto, era ancorato a quanto disposto in due distinte delibere, ma per i giudici al dirigente «non compete autorizzare o negare alcunché, bensì prendere atto, in presenza della dimostrazione da parte dei genitori, di avere la capacità tecnica ed economica adeguata, dell'intenzione di avvalersi dell'istruzione parentale». Quanto al limite temporale fissato, se da un lato i giudici comprendono le ragioni organizzative sottese alla richiesta di comunicare questa scelta entro il termine di presentazione delle iscrizioni, dall'altra ritengono che il dirigente, cui spetta un compiuto di vigilanza, non avrebbe dovuto considerarlo come «perentorio».La dimostrazione da parte dei genitori di avere la capacità tecnica ed economica adeguata, dunque, resta «l'unica condizione prevista» anche dalla legge provinciale.

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