Belluno autonoma, aperture sull'ipotesi di passare in Friuli

Dopo anni di lotte la provincia alpina di Belluno attende ancora una risposta seria per un riassetto isituzionale autonomo: ora si fa strada anche a Roma l'ipotesi di un passaggio dal Veneto al Friuli. Per molti la destinazione naturale sarebbe il Trentino Alto Adige che però non sembra interessato

di Zenone Sovilla

L’approdo in Parlamento della legge per il trasferimento in Friuli di uno dei numerosi comuni bellunesi referendari, Sappada, ha prodotto negli ultimi giorni un’accelerazione - frammista a polemiche - del confronto politico sulla ultradecennale richiesta di autonomia istituzionale della vicina provincia dolomitica.

Sappada è l’unico dei comuni «secessionisti» che ha votato per la variazione territoriale con destinazione Friuli Venezia Giulia. Tutti gli altri, una decina, hanno celebrato referendum costituzionali per passare al Trentino Alto Adige; ma l’iter è sostanzialmente insabbiato e le uniche aperture, informali, hanno riguardato finora i tre municipi «ex asburgici» di Cortina d’Ampezzo, Colle Santa Lucia e Livinallongo cui Bolzano parrebbe disposta ad aprire le porte.

La settimana scorsa, superati gli scogli del vaglio in commissione, il passaggio di Sappada dal Veneto al Friuli, cioè da Belluno a Udine, avrebbe dovuto approdare alla discussione in aula al Senato, per poi passare a Montecitorio.

Ma all’ultimo momento c’è stato un rinvio che ha scatenato le proteste dei referendari sappadini: si accusa la maggioranza di governo di tradire il voto.
Un voto che peraltro avvenne otto anni fa e sul quale, oggi, le divisioni in paese sembrano più marcate di allora.

Le preoccupazioni di chi frena riguardano l’appartenenza storica alla comunità alpina del Bellunese e il rischio che di questo passo, con Sappada come apripista, l’intera provincia rischi veramente la disgregazione, con porzioni che passerebbero sotto aree amministrative confinanti (Trento, Bolzano ma anche Pordenone, Treviso e Vicenza, oltre alla stessa Udine).

C’’è peraltro anche chi fa notare che pure la montagna friulana, a sua volta minoritaria in una regione di pianura e di mare, è in sofferenza.

Comunque sia, il caso Sappada, che fra l’altro è un’isola germanofona, ha in qualche modo messo spalle al muro la classe dirigente nazionale e i suoi principali referenti locali.

Tant’è che la presidente della Regione Friuli nonché vicesegretaria nazionale del Pd, Debora Serracchiani, evidentemente consapevole della necessità di una soluzione organica per il Bellunese, ha rilanciato offrendo all’intera provincia il trasferimento nell’ente autonomo a est.

«Sono tanti i Comuni del Bellunese che hanno già fatto i referendum e si sono espressi nello stesso modo. A questo punto mi chiedo se non sia importante per me invitare l’intero Bellunese a congiungersi sotto la specialità del Friuli Venezia Giulia, per mettere insieme il patrimonio straordinario che abbiamo, la nostra montagna e i parchi delle Dolomiti, visto che parliamo di gente che ha lo stesso comune sentire», ha detto la presidente, che è anche una delle figure di spicco dell’attuale leadership nazionale del partito democratico.

Il che induce a ritenere che una simile «rivoluzione», se accolta dai cittadini interessati, non troverebbe ostacoli particolari a Roma.

Un indizio in questo senso è venuto dalle espressioni «possibiliste» manifestate in questi giorni dal sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, che è bellunese (fu anche sindaco della città capoluogo) ma da tempo si è trasferito in Sudtirolo dove è stato eletto per il Pd. Anche lui ha sottolineato che bisogna evitare la polverizzazione del territorio e dare invece una risposta stabile alla necessità bellunese di un assetto istituzionale adeguato al territorio montano.

Anche il deputato bellunese Roger De Menech ha fatto eco all’apertura «storica» arrivata da Trieste sottolineando che la prospettiva è interessante e che in ogni modo il suo partito è impegnato per arrivare al più preso a una soluzione istituzionale autonomistica.

Al momento non è dato sapere quali siano le manovre concretamente in atto, a parte l’idea, avanzata dallo stesso Bressa, di estendere anche sul versante friulano il sostegno finanziario previsto oggi per i numerosi comuni bellunesi confinanti con il Trentino Alto Adige.
Ma si tratterebbe soltanto di una piccola iniezione di denaro, forse un modo per prendere tempo, nulla rispetto a un progetto istituzionale per costruire finalmente un regime differenziato, con poteri decentrati significativi, per la minoranza alpina bellunese.

Per parte sua, il movimento Belluno autonoma Regione Dolomiti (Bard), da sempre vicino ai comitati referendari, ha chiesto con forza che venga rispettata la volontà popolare espressa a Sappada e negli altri Comuni.
Nel contempo, tuttavia, gli autonomisti, preoccupati del rischio che la comunità bellunesi si frammenti, valutano l’evoluzione del quadro generale e non escludono di prendere in considerazione seriamente il cammino suggerito da Serracchiani.

Lo stesso Bard nei giorni scorsi ha indicato uno dei passi praticabili subito per rafforzare Belluno: attribuire alla Provincia lo status delle nuove Città metropolitane. Un ente montano cui la Regione Veneto dovrebbe poi finalmente trasferire una lunga serie di competenze autonome, come previsto dalla legge regionale finora disattesa dalla giunta Zaia.

La richiesta è stata ribadita due settimane fa, in un incontro romano con la segreteria Pd, nell’ambito di una verifica sull’iter della legge legata all’accordo elettorale siglato alle regionali venete del 2015 per il sostegno del Bard al centrosinistra, in cambio fra l’altro del ripristino dell’elettività della Provincia dopo gli effetti negativi della riforma Delrio.

La creazione di un’entità istituzionale rafforzata è la priorità e la sua collocazione «naturale», secondo il Bard, sarebbe nella Regione Dolomiti, cioè come terza provincia del Trentino Alto Adige.

Bolzano e Trento, però, pur sostenendo apertamente anche in sedi ufficiali la battaglia autonomistica bellunese, finora non hanno mai incoraggiato questa prospettiva dolomitica, anzi.
Tant’è che anche nel processo in corso per la revisione dello statuto di autonomia è stata cancellata la presenza di Belluno come «osservatore», prevista nel disegno di legge presentato nella scorsa legislatura dall’intero centrosinistra autonomista del Trentino Alto Adige.

Adesso si vedrà se l’iniziativa venuta da Serracchiani smuoverà le acque e indurrà i politici trentini a elaborare una qualche visione alternativa.

Nel frattempo, a Belluno si comincia a discutere della destinazione Friuli e non mancano né entusiasmi né perplessità. Queste ultime derivano innanzitutto dal legame che il territorio ha piuttosto con Trento e Bolzano con cui condivide un lungo confine, molti valichi dolomitici e parecchie iniziative nelle comunità locali.

D’altra parte, se la stada della Regione Dolomiti fosse effettivamente preclusa dall’ostracismo di Trento e Bolzano, l’opzione Friuli viene considerata da molti come un progresso importante, con Belluno in una Regione autonoma nella quale demograficamente e dunque politicamente il peso specifico dell’area alpina sarebbe assai maggiore (oltre 200 mila persone su 1,2 milioni) rispetto all’attuale condizione mortificante vissuta nel Veneto che ha 5 milioni di abitanti, per lo più di pianura e di mare, con i montanari marginali e ininfluenti sul loro stesso destino.

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