Venezia riforma la sanità, allarme nel Bellunese

di Zenone Sovilla

«Con l’Ulss (unità locale sociosanitaria) unica in provincia di Belluno, il destino è quello di vedere un crollo dei servizi della sanità in montagna, fino all’inevitabile discesa a Treviso»: così il movimento Belluno autonoma Regione Dolomiti (Bard) boccia il piano della Regione Veneto che intende accorpare i due enti oggi presenti nel territorio dolomitico. Si tratta, secondo gli autonomisti, di una scelte che, accanto ad altre direttive previste da Venezia, indebolità il servizio sanitario offerto nella provincia alpina (cui si appogia fra l’altro anche il Primiero con l’ospedale di Feltre).

«Oltre alle considerazioni sul taglio delle spese, che sfociano troppo spesso in demagogia, c’è da pensare agli sviluppi futuri.
Rischiamo di rivivere quanto già visto con l’Ulss del Cadore: prima si decentrano gli uffici e l’amministrazione, poi si depotenziano le strutture. L’assessore regionale Coletto assicura che Venezia non intende tagliare ospedali o servizi in montagna, e non possiamo che credergli, ma nei prossimi anni saranno i numeri a condannare questa realtà», prosegue il Bard denunciando quello che considera un disegno destinato a indebolire in generale la tenuta del tessuto locale già minacciata dal deficit istituzionale derivante dal depotenziamento della Provincia, dalla riduzione dei rappresentanti bellunesi in regione (erano tre, ora sono due su cinquanta consiglieri), dal continuo rinvio da parte di Venezia dei provvedimenti attuativi della limitata forma di autonomia già sancita dalla legge.

«Ogni anno - scrive il Bard - lottiamo per mantenere i servizi negli ospedali di montagna, da Agordo a Pieve di Cadore, senza dimenticare le strutture di Auronzo o di Lamon. L’Ulss unica Dolomitica che viene ora disegnata da Venezia accentrerà ancora di più le decisioni (quelle poche che ancora resteranno alle aziende provinciali, vista la nascita dell’Ulss zero), in un processo che va contro l’autonomia e la sopravvivenza dei territori. A condannare la sanità montana saranno gli stessi numeri: come far sopravvivere un hub provinciale con poco più di 200 mila persone?
L’unica soluzione sarebbe la condivisione del sistema sanitario con Treviso, che significherebbe la morte per la sanità di montagna».

Esiste, però, conclusono gli autonomisti bellunesi, un’opzione percorribile con ricadute positive sulle comunità alpine, quella cioè di creare un’unica Unità sanitaria provinciale, ma di trasferirle anche le relative competenze e le risorse oggi in capo alla Regione Veneto.

«Ciò che stiamo vivendo è l’ennesimo attacco al rapporto tra sanità e territorio: la gestione degli ospedali, dei reparti, dei servizi, non può seguire la stessa logica a Belluno, Treviso, Vicenza o Venezia.

Si vuole scegliere a tutti i costi la via dell’azienda unica bellunese? Bene, allora la Regione ci consegni anche le deleghe sulla sanità, e con queste anche le risorse – oltre mezzo miliardo di euro all’anno –; la strada che vogliamo segnare è quella dell’integrazione ospedale-territorio seguendo un modello costruito appositamente per la montagna. Solo così potremmo salvarci da questo terribile errore».

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