Ferrovie sulle Dolomiti, che passione: un nuovo libro

di Zenone Sovilla

Negli ultimi anni anche il versante italiano delle Alpi registra un nuovo interesse attorno ai temi della mobilità sostenibile in area montana, alla luce delle preoccupazioni legate al traffico generato dai flussi turistici e dal trasporto merci su gomma attraversi i valichi di confine. In Trentino, a parte il capitolo ormai sostanzialmente archiviato di Metroland, si parla di singoli progetti forse come la rinascita di una ferrovia per la val di Fiemme oppure di altre suggestioni suggerite dall'associazione Transdolomites. Nel vicino Sudtirolo si segnala il grande successo ottenuto con la rinascita nel 2005 della storica ferrovia della val Venosta da Merano a Malles, gettonatissima sia dai turisti sia dagli abitanti della zona (quasi tre milioni di passeggeri l'anno e un'ipotesi di prolungamento verso la Svizzera nell'ambito di una visione futura delle Alpi connesse da un reticolo di binari).

quasi tre milioni di passeggeri annui
quasi tre milioni di passeggeri annui
quasi tre milioni di passeggeri annui.

Quest'anno c'è un'altra strada ferrata sulel Alpi che compie un secolo, alla quale Roberto Tabacchi ha dedicato il volume «1914-2014. Belluno. Calalzo, una ferrovia tra le Dolomiti del Cadore» (Tiziano Edizioni, 312 pagine, 315 foto, 35 euro)

«Nel lontano 1851, quando la strada ferrata aveva toccato la limitrofa provincia di Treviso, anche nell’animo dei bellunesi era germogliato l’obiettivo di far giungere quanto prima tra le montagne quella straordinaria innovazione tecnologica, ormai assurta a simbolo di progresso e indispensabile strumento per far decollare l’economia del territorio. Appariva evidente fin da allora come la sola bellezza naturale di boschi e rocce dolomitiche non fosse sufficiente a concedere benessere alle popolazioni autoctone, seppure un turismo agli albori della sua storia contribuisse a divulgare le valenze ambientali di queste zone», si legge nella introduzione.

L'autore, nelle righe che aprono il volume, ricorda che all'epoca, come per i secoli precedenti, la principale fonte di reddito in zona era l'industria del legname, che utilizzava il fiume Piave come via principale di trasporto. L'epopea degli zattieri bellunesi è ricordata, fra l'altro, nel museo loro dedicato a Castellavazzo, vicino a Longarone.

Il possible avvento del treno lasciava intravvedere una possibile innovazione che avrebbe dunque potuto avere riflessi anche nel mondo economico, ma le aspettattive della popolazione erano destinate a restare deluse a lungo. Solo nel 1886 fu ultimata, dopo un lungo travaglio, la ferrovia che dalla pianura trevigiana si insinuava nelle prime gole prealpine per arrivare infine alal città di Belluno, al cospetto delle prime vette dolomitiche.

«Furono le pressanti ragioni militari che determinarono la costruzione di questa linea, ma grande merito fu riconosciuto alla perseveranza della popolazione locale e dei suoi rappresentanti, che mai si erano arresi ed avevano anzi sostenuto con forza quel prolungamento tanto voluto, che li avrebbe forse resi più consapevoli di essere diventati i cittadini di una nazione. L’inizio della Grande Guerra contribuì ben presto a smorzare gli entusiasmi e la neonata ferrovia venne allora potenziata in tutta fretta per consentire l’inoltro in numero crescente di tradotte militari dirette al vicino fronte di combattimento», scrive Tabacchi.

Nel 1916, peraltro, fu realizzato dai militari: cominciarono gli italiani e proseguirono gli austriaci arrivando fino a Dobbiaco, nel vicino  Sudtirolo. Era un collegamento di tipo Decauville (con binari prefabbricati e facilmente rimovibili) posato lungo la strada di Alemagna da Calalzo fino a Cortina d'Ampezzo. Nel 1919, a guerra conclusa, gl iitaliani completarono l'opera e nel 1921 fu aperta ufficialmente la linea a scartamento ridotto Calalzo-Cortina-Dobbiaco (65 chilometri), che funzionerà fino all'inizio degli anni Sessanta, vivendo dunque anche le settimane "calde" dei Giochi olimpici invernali del 1956 nella celebre località turistica bellunese.

Ma torniamo al libro e alla Belluno-Calalzo delle Ferrovie dello Stato: con il boom della motorizzazione privata, ricorda Tabacchi, si temeva che insieme alle altre ferrovie fosse chiusa anche questa, in una zona appena travolta dalla tgragedia del Vajont (1963): «La tenacia e la cocciutaggine delle popolazioni dell’alta valle del Piave - scrive - seppero in quei frangenti ritrovare per intero l’unità d’intenti e la voglia di alzare le voci di protesta, consapevoli di una situazione di isolamento dalla pianura che solo quel binario era in grado di colmare. Quelle vicende rappresentarono un nuovo momento d’aggregazione delle genti cadorine, in una fase economica segnata dagli ultimi bagliori di benessere concessi dall’industria degli occhiali, centenaria attività che aveva avvicendato nel tempo quella del legname».

Poi, via via, gli altri cambiamenti, l'apparentemente inarrestabile espandersi della motorizzazione privata, ma poi, negli anni più recenti, il diffondersi di una nuova consapevolezza sulle tematiche della mobilità e dei trasporti connesse con quelle della tutela dell'ambiente naturale.
L'autore propone un viaggio attraverso un secolo di «avvenimenti e riflessioni che meglio aiutino a comprendere i sottili legami che accomunano la storia di una piccola ferrovia di montagna ai mutamenti politici, economici e sociali di varie epoche, costituenti solo alcuni dei tanti tasselli di un mosaico chiamato “evoluzione"».

Oggi peraltro, la linea ferroviaria per il Cadore è spesso oggetto di denunce di disservizi, ritardi, chiusure temporanee per lavori sui binari; ma è anche al centro di importanti iniziative politiche e sociali che hanno l'obiettivo di rilanciare il vecchio progetto, di cui si parla fin dagli anni Ottanta anche a livello istituzionale, cioè di migliorare l'esistente e ridare vita al collegamento da Calalzo a Dobbiaco e dunque alla ferrovia della Val Pusteria (connessa a ovest con quella del Brennero e a est con l'Austria), che oggi avrebbe anche una straordinaria valenza turistica e consentirebbe, se affiancato dal breve tratto Feltre-Primolano, di creare un anello su strada ferrata nelle tre province dolomitiche di Belluno, Trento e Bolzano.

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