Passioni / Giovani

Superare il cemento nella sua Ledro: la battaglia del fabbro Victor Silvestri

A 32 anni ha scelto di restare a lavorare nella sua valle: «Dove hai preso il pane non puoi lasciare briciole. A fine giornata sono felice, mi sento grato di fare quello che amo e le sfacchinate, per quanto possano spossare, ti mostrano traguardi inaspettati. Inseguo la curiosità»

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di Elena Piva

LEDRO. La scelta di rimanere legati al luogo nel quale si è nati e cresciuti è una risposta alle difficoltà del tempo che, a differenza di altre, poggia sul desiderio di riconsiderare il passato in un'ottica di riscrittura del presente. Questa, per l'antropologo Vito Teti, è la «restanza»: la sensazione di sentirsi ancorati e, a volte, spaesati, in un luogo da proteggere e rigenerare.

Restituire quanto ricevuto, dando un proprio senso al territorio in cui è cresciuto, è ciò che muove l'entusiasmo di Victor Silvestri, fabbro trentaduenne nato ad Enguiso, dalle cui mani nascono articoli di nicchia per arredo urbano e da giardino che raccontano la valle di Ledro. Silvestri, di un'umiltà disarmante, ha avviato la ditta «Silfer» dopo gli anni di apprendimento presso la «Metallurgica Ledrense», azienda di Tiarno di Sopra leader nella produzione di filo lucido zincato e filo lucido nero di altissima qualità per l'agricoltura e l'industria, nota da alcuni anni su scala internazionale per i gabbioni strutturali certificati CE. Per essa cura la linea ornamentale del verde pubblico e privato.

Come ti sei avvicinato al mondo degli arredi?
«Ammetto che mi è sempre piaciuto prendermi cura dell'orto e del giardino, sin da bambino. La passione per la natura si è intrecciata, crescendo, alle infinite modalità di lavoro che garantisce la manualità. La possibilità di realizzare qualcosa da zero grazie all'utilizzo di diversi materiali mi rende soddisfatto di ciò che ho fatto, nonostante il tempo richiesto e le tante accortezze. Nessuno nella famiglia ha mai lavorato come fabbro, ma ho capito fosse la mia strada grazie all'esperienza vissuta in Metallurgica. In azienda ho imparato a realizzare i primi gabbioni in rete elettrosaldata, elementi architettonici che possono fungere da arredo estetico e al tempo stesso da muri di sostegno in ambito urbano».

Quando hai deciso di metterti in proprio?
«Sfruttando un nuovo macchinario mi sono dedicato per un anno e mezzo a ogni genere di arredo: dalle panchine ai bracieri, dalle fioriere ai muretti, dalle fontane ai complementi per giardini privati. Dopo un anno e mezzo Fabio Tiboni, responsabile della Metallurgica, mi ha preso da parte come un figlio e mi ha detto: "Vai Victor, è ora di prendere la tua strada. Continueremo a lavorare insieme e se mi servirà qualcosa sarai sempre il primo nome a cui penserò. È il momento". La sua fiducia mi permette oggi di gestire la «Garden Line» (linea di arredo per giardini) della ditta, offrendo un prodotto nuovo per il catalogo del gruppo che per primo ha creduto in me. Per Fabio ogni "grazie" è riduttivo: dare credito e stima a un giovane vuol dire essere consapevoli delle sue competenze e dell'energia con cui si cimenta nelle sfide della quotidianità».

Come si posiziona il tuo settore?
«Ho progettato e prodotto panchine per Svezia, Croazia, Arabia Saudita, Germania, Paesi in cui l'innovazione trova il punto d'incontro con il rispetto ambientale, elemento per me imprescindibile. Le gabbie che costruisco rispondono alle richieste di nicchia: da fabbro naturalmente realizzo anche ringhiere e recinzioni, soprattutto ora che sono all'inizio, ma cerco di diffondere la conoscenza di questi particolari elementi d'arredo che tutelano l'ecosistema e mettono al bando il cemento. Le gabbie si appoggiano a terra, non richiedono alcun basamento e sono frutto di materiali riciclabili».

Qual è il valore aggiunto della tua attività?
«Avere carta bianca libera la mia creatività, mi sono inventato un set di sgabelli con tavolino dalle diverse misure, ma versatili e multiuso: radiali, angolari, esagonali, quadrati. Più di ogni altra cosa però, lavorare in valle: favorire un sistema circolare, dove il legno delle panchine che realizzo proviene dalle segherie locali, è il mio modo per partecipare attivamente alla produttività ledrense. Tengo sempre a mente un detto: "Dove hai preso il pane, non puoi lasciare briciole". Vorrei che la mia attività restituisse la pagnotta. Il passaparola mi gratifica, sebbene ripeto sia ancora un mercato di nicchia. Mi auguro che la popolazione capisca l'importanza di allontanarsi dal cemento, c'è chi è proprio fissato! Le gabbie sono come dei Lego durevoli, fatte su misura, al dettaglio. Tre anni fa nessuno ne conosceva le potenzialità in zona. Se le richieste aumentano significa che, nel mio piccolo, sto facendo bene. Lo diciamo piano, perché so dove ho iniziato».

Ti spaventa la prospettiva di essere un artigiano nel 2023?
«No, lavoro ce n'è e ho molta voglia di fare. Gli imprevisti nella vita si presentano per tutti, ma provare con impegno e dedizione a perseguire i propri obiettivi è fondamentale. Richiede tempo, da soli anche molta fatica e sacrifici: chissà se riuscirò ad assumere un altro ragazzo il prossimo anno, soprattutto per una mano con l'attrezzatura. È difficile arrivare a tutti, ma unire tradizione e innovazione, prodotto di qualità e originalità, fa emergere l'anima e questo, per me, è la chiave di un processo rigenerativo che modifica la percezione del mestiere, del rapporto con ciò che ci circonda, delle scelte che facciamo. A fine giornata sono felice, mi sento grato di fare quello che amo e le sfacchinate, per quanto possano spossare, ti mostrano traguardi inaspettati. Non mi sento né mi sentirò mai arrivato: piuttosto, inseguo la curiosità».

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