«Acciaieria, per operai rischio sanitario più alto»

Un'età media alla morte di soli 57 anni. È quanto risulta dall'indagine epidemiologica indipendente che ha esaminato la storia degli operai impiegati almeno un anno nell'acciaieria di Borgo Valsugana, nel periodo 1984-2009. La ricerca è stata curata da Roberto Cappelletti , esponente di Medici per l'ambiente (Isde), in collaborazione con il «Comitato 26 gennaio»

di Zenone Sovilla

Borgo_acci_5950655.jpgBORGO - Un'età media alla morte di soli 57 anni. È quanto risulta dall'indagine epidemiologica indipendente che ha esaminato la storia degli operai impiegati almeno un anno nell'acciaieria di Borgo Valsugana, nel periodo 1984-2009. La ricerca è stata curata da Roberto Cappelletti , esponente di Medici per l'ambiente (Isde), in collaborazione con il «Comitato 26 gennaio», realtà associativa impegnata fra l'altro a intensificare il monitoraggio sulla scia delle vicende giudiziarie sull'attività dell'acciaieria e sul traffico di rifiuti tossici. «Si ritiene che il mancato controllo delle emissioni inquinanti prodotte dagli impianti di questa azienda sia la causa dell'aumentato rischio di patologie e decessi individuato nei lavoratori», scrive Cappelletti, che segue da anni la tormentata vicenda dell'impianto metallurgico e dei suoi possibili effetti negativi sulla salute umana e sull'ambiente naturale.
L'indagine, già trasmessa anche alla magistratura, si basa fra l'altro sui dati Inps e sui registri dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari e dell'Istat, specie per verificare le cause di morte. In proposito, emerge che dei 22 decessi di operai di cui si conosce la causa: ben undici sono dovuti a tumore (50%) a fronte di una percentuale provinciale del 33%. Anche l'incidenza della morbilità (in relazione alle sette malattie più frequenti) risulta maggiore sia della media provinciale sia di quella rilevata fra gli abitanti nella locale Comunità di valle.
Nella relazione che accompagna il dossier, si legge che questi eccessi di mortalità e morbilità «non possono ragionevolmente essere attribuiti al caso, anche perché sono supportati da considerazioni di plausibilità biologica e da precedenti evidenze scientifiche».
Si ricorda che i rischi cui sono esposti i lavoratori negli impianti metallurgici sono già stati certificati, fra l'altro, dall'International Agency for Research on Cancer (Iarc), che nel 1987 ha classificato l'occupazione svolta nella fusione dell'acciaio come esposizione a fattori cancerogeni certi per l'essere umano (Gruppo 1). Si sottolinea, inoltre, che sono molteplici gli inquinanti tossici e cancerogeni reperiti nelle polveri aerodisperse all'interno degli impianti della fonderia: metalli pesanti, diossine e simili (Pcb, policlorobifenili, e Ipa, idrocarburi policiclici aromatici).
Nel caso specifico di Borgo Valsugana, la presenza di sostanze contaminanti ha indotto a osservare la storia sanitaria dei 342 operai dell'acciaieria. Da qui ha preso le mosse lo studio retrospettivo sulla mortalità, congiuntamente a un'analisi della prevalenza di malattia rilevata attraverso la verifica del numero di esenzioni dai ticket sanitari.
Le persone prese in esame sono risultate più esposte al rischio di morte sia rispetto alla popolazione generale sia al gruppo di controllo costituto da 32 impiegati amministrativi della stessa azienda. Si è registrato un eccesso di mortalità per tutti i tumori e il dato più significativo è l'aumento del cancro al polmone (sei casi rispetto a 1,6 attesi), in linea con quanto rilevato altrove in studi simili, nonché con la citata classificazione internazionale Iarc. «Su 31 decessi osservati nei lavoratori nel periodo 1979-2009, dopo confronto interno, si è stimato in 16.7 il numero che si sarebbe potuto evitare», si legge nel rapporto.
Per quanto riguarda le patologie, sono state considerate le sette principali: tumori, diabete, malattie cardiovascolari, ipertensione con danno d'organo, artrite reumatoide, asma e ipertensione arteriosa. Anche l'eccesso di queste malattie tra gli operai viene attribuito all'esposizione a sostanze dannose emesse nell'ambiente di lavoro, dunque a fattori legati direttamente alla fabbrica, non allo stile di vita delle persone.
In definitiva, lo studio conferma la particolare pericolosità, negli impianti di questo tipo e generazione, delle emissioni secondarie, quelle cioè che non passano dalle ciminiere ma che rappresentano la parte preponderante (e meno controllata) di quanto i processi produttivi immettono nell'ambiente circostante. Perciò Cappelletti suggerisce «di estendere lo studio epidemiologico alla popolazione della Valsugana»: un'iniziativa di vasta portata che naturalmente chiama in causa l'ente pubblico.

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