«Così alla Fem usiamo su melo e vite le forbici per il Dna sviluppate dalle due studiose premio Nobel»
«Alla Fem abbiamo iniziato nel 2015 a utilizzare la metodologia scoperta dalla francese Emmanuelle Charpentier e dall'americana Jennifer Doudna, vale a dire 3 anni dopo la pubblicazione su Science dell'articolo che è valso il Nobel per la Chimica».
Moser, stiamo parlando del metodo che permette di modificare le basi del Dna - il codice della vita - grazie a "Crispr", la "forbice naturale".
«Il nostro obiettivo è usare le forbici molecolari per modificare il Dna delle piante di nostro interesse: la vite e il melo».
Claudio Moser è il responsabile del Dipartimento di Genomica e Biologia delle piante da frutto del Centro ricerca e innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige. È trentino, ha 52 anni e dopo avere studiato Biologia a Pavia ha svolto il dottorato di ricerca presso il Laboratorio europeo di Biologia molecolare a Heidelberg, in Germania. Moser è alla Fem dal 2001.
Moser, perché modificare il Dna della vite e del melo?
«Le piante hanno dei tratti di Dna essenziali affinché i funghi e i batteri li riconoscano e quindi li infettino. Tramite le "forbici" cerchiamo di inattivare questi geni in modo che la pianta diventi più tollerante alle malattie».
Così potremmo ridurre l'uso di antiparassitari...
«...e rendere più sostenibili le coltivazioni».
Grande!
«Le malattie su cui lavoriamo sono la peronospora e l'oidio della vite, l'oidio del melo e il colpo di fuoco batterico, una patologia emergente anche in Trentino. Riepilogando, uno degli obiettivi dell'applicazione del Crispr è di ottenere varietà di vite e melo più resistenti alle malattie riducendo l'input chimico in campagna, nell'ottica di un'agricoltura maggiormente sostenibile».
È difficile applicare questa tecnologia?
«Richiede notevoli capacità e conoscenze di colture in vitro ».
Fin dove siete arrivati?
«Abbiamo ottenuto le prime piante mutate e le stiamo testando per vedere se sono più tolleranti».
E lo sono?
«Direi di sì. In alcuni casi di sicuro. Ma c'è un punto importante».
C'è sempre un punto importante.
«I prodotti così ottenuti, in Europa sono considerati degli Ogm - organismi geneticamente modificati - invece negli Stati Uniti e in altre nazioni non lo sono. Quando vengono etichettati come Ogm, la procedura regolamentare per portarli in campo è molto lunga».
E l'Europa cosa dice?
«Si sta discutendo affinché non vengano classificati come Ogm ma come prodotti analoghi a quelli ottenuti tramite miglioramento genetico classico, per incrocio e selezione».
C'è uno spiraglio?
«Sì. Naturalmente, il fatto che questi prodotti vengano considerati degli Ogm rende la sperimentazione più difficile perché non possiamo testarli all'aperto ma siamo costretti a tenerli in serra».
Il Nobel potrebbe fargli cambiare idea.
«Io sono speranzoso».
Lei conosce le scienziate del Nobel?
«Non direttamente. Loro agiscono maggiormente nell'ambito medico umano, io frequento di più la comunità dei genetisti agrari».
La direttrice del Laboratorio di virologia molecolare del Cibio, Anna Cereseto, sostiene di avere perfezionato questa tecnologia trasformando le forbici molecolari in uno strumento ancora più preciso.
«Siamo in contatto con Cereseto. Le abbiamo chiesto di poter testare sulle piante la variante di queste forbici molecolari».
Lo farete davvero?
«Siamo, insieme a lei, in un progetto finanziato dalla Fondazione Caritro. Vogliamo testare le forbici perfezionate».
Moser, lei ha passato la vita in laboratorio.
«A me piace».
Sennò non l'avrebbe fatto.
«Anche se adesso ci sto un po' meno».
E dove sta?
«Come responsabile di dipartimento ho un incarico più gestionale, di scrittura del progetto».
Dunque lei dirige chi opera in laboratorio.
«Praticamente».