Shock per la morte dell'immenso Maradona, Napoli intitolerà lo stadio al Pibe de oro

Nell’anno più brutto, il mondo perde quella che per venti anni è stata la consolazione più credibile per miliardi di persone. A 60 anni appena compiuti è morto a Tigres Diego Armando Maradona, il Pibe de oro nato nei sobborghi di Buenos Aires e diventato il dio del pallone grazie a un sinistro magico, a un talento senza fine, a una personalità sconfinata seppure troppe volte colta in fuorigioco nella vita.

E ora che Diego non c’è più, non c’è angolo del pianeta, pure provato dalla piaga del Covid, che non pianga per l’addio al mito. Un mese fa aveva compiuto 60 anni: una festa triste però, nonostante l’omaggio globale, a cui pochi giorni dopo era seguito il ricovero in ospedale, un delicato intervento alla testa. Ma sulle condizioni i medici erano stati rassicuranti: nessuno aveva fatto presagire un epilogo tragico in così poco tempo. L’arresto cardiorespiratorio lo ha colto nella sua casa di Tigres, provincia di Buenos Aires.

Nove le ambulanze accorse, vani i tentativi di rianimarlo. Maradona muore nello stesso giorno di altri grandi ribelli: quattro anni fa la scomparsa di Fidel Castro, di cui il fuoriclasse argentino era amico e grande sostenitore, nel 2005 anche George Best.

Aveva solo 60 anni, Diego, ma si portava dietro e dentro tante esistenze: la più florida nel suo passaggio indimenticabile a Napoli e al Napoli, dove arriva nel 1984 senza di fatto mai andare via.

Perché ai piedi del Vesuvio Maradona è davvero un dio, è lì che nasce la sua leggenda e non solo per lo scudetto conquistato, il primo degli azzurri, sotto la regia di Ottavio Bianchi. Nemmeno la positività alla cocaina che nel 1991 interrompe l’avventura in Italia segnando l’inizio della fine del campione genio e sregolatezza ha mai intaccato l’amore che Napoli ha per l’argentino.

La città sotto choc ora piange, gli intitolerà lo stadio, quel San Paolo da cui il numero dieci ha fatto decollare un popolo intero.

Amori, odi, successi, cadute e quella rivalità sul ‘più grande di semprè per la quale lo scontro con Pelè ha negli anni assunto la forma dell’epos. Col brasiliano la pace, anche in occasione dei compleanni (80 Ò Rei, 60 El Pibe a distanza di pochi giorni) e lo scambio di auguri. «Un giorno, spero, giocheremo insieme a calcio in cielo - l’omaggio di Pelé - Una notizia triste, ho perso un caro amico, e il mondo ha perso una leggenda».

«Di gran lunga il più grande giocatore della mia generazione e, verosimilmente, il più grande di tutti i tempi» dice Gary Linker, leggenda del calcio inglese che di Maradona fu avversario nella sfida con l’Argentina dei mondiali del 1986 segnata dal gol che il Pibe de Oro accreditò alla ‘mano de Dios’, prima di vincere il titolo praticamente da solo in finale con la Germania Ovest. Altra pagina di un romanzo che il 10 ha scritto dentro, ma anche fuori dal campo. Fatto di passioni, divorzi, figli e battaglie per riconoscerli (oppure no): di droga, depressione, perché tante volte aveva lasciato intendere che vivere nel mito di se stessi può essere un peso insopportabile. Era lo ‘sgorbio divinò per Gianni Brera, perché quell’aurea di immortalità Diego se l’era conquistata in vita.

«È il nostro passato che se ne va» l’omaggio di Michel Platini, altro abitante dell’Olimpo del pallone. Pure il connazionale Leo Messi, il mito attuale, altro dieci di talento puro intreccia il filo dell’immortalità: «Ci lascia, ma non se ne va. Diego è eterno». Eroe, meraviglia, mito: gli omaggi adesso si sprecano, ma erano gli stessi che la gente, la sua gente, gli ha sempre tributato in vita.

Tante vite, quasi sempre al limite: il Che tatuato e quel legame con la Cuba di Fidel, Chavez, la simpatia per il Papa connazionale. Perché Maradona è un pezzo unico. Sui campi saranno osservati minuti di silenzio. I ricordi, le celebrazioni riempiranno strade, cinema, libri: verranno intitolate piazze, dedicati premi. Il regista premio Oscar Paolo Sorrentino racchiude meglio di tutti l’essenza di cosa sarà in futuro il mito Maradona: «Diego non è morto, è andato in trasferta». E anche nell’anno più triste, vale una consolazione: anche fuori casa Maradona di prestazioni da fuoriclasse al mondo ne ha regalate tante.


Una città sconvolta, per circa mezz’ora incredula, poi silente nel dolore improvviso. La morte di Diego Armando Maradona arriva in ogni casa come la notizia della morte di un parente, partito per vivere lontano ma sempre vicino. L’ansia c’era stata nei giorni scorsi, con la notizia dell’intervento operatorio, poi sembrava essere tutto passato e invece nel silenzio delle strade della zona rossa la notizia si spande in pochi minuti.

I tifosi si raccolgono spontaneamente in via De Deo, un vicolo dei Quartieri Spagnoli dove c’è il murales di Maradona dipinto nei giorni del primo scudetto, un vicolo divenuto negli anni un tempio, con foto di Diego ovunque e in cui stasera sono stati accesi decine di lumini votivi mentre i tifosi cantavano «Ho visto Maradona».

L’incredulità è negli occhi dei cinquantenni che hanno vissuto la loro adolescenza con Diego e in quelli dei loro figli che lo hanno vissuto e amato dai racconti dei padri. Un colpo fortissimo, con il sindaco Luigi de Magistris che annuncia subito il lutto cittadino per l’uomo a cui nel 2017 aveva dato la cittadinanza onoraria e propone: «Intitoliamo lo Stadio San Paolo a Diego Armando Maradona». Un’idea su cui si dice subito d’accordo il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis che domani vorrebbe «trasmettere sui maxischermi le sue immagini durante tutta la nostra partita».

La morte di Diego è un colpo durissimo anche per tutti i suoi ex compagni di squadra, per il gruppo di quegli anni unici nella storia del Napoli: «Non riesco a parlarne», dice con voce tremante Ottavio Bianchi, l’uomo che costruì attorno al suo talento la squadra del primo titolo. «Napoli perde un figlio», gli fa eco Giuseppe Bruscolotti, il capitano di quel Napoli del 1986 che poi cedette a Diego la fascia. Un gruppo di tifosi si muove proprio verso lo stadio San Paolo, affiggendo uno striscione all’esterno della curva B: «O re immortale, il tuo vessillo mai smetterà di sventolare». Uno stadio in cui sono state accese le luci, che resteranno accese per tutta la notte del ricordo di Maradona. Un ricordo che rimarrà e verrà tramandato, e lo sa bene Corrado Ferlaino, l’ingegnere che nel 1984 pagò tredici miliardi al Barcellona per dare il via al mito: «Ti voglio bene - dice - e i napoletani ti vorranno sempre bene».

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