Il ricordo del Grande Torino 70 anni fa la tragedia di Superga

Settanta anni esatti sono passati da quel terribile schianto tra le nuvole che il 4 maggio 1949 avevano nascosto la collina e la basilica di Superga, ma per i tifosi granata l'emozione, il dolore e l'orgoglio per il Grande Torino non invecchiano.

Prima di tutto ci sono sempre loro, gli Invincibili. E ogni vecchio cuore granata è pronto al ricordo che non è mai un semplice rito. Quest'anno ci sono, in più, la coincidenza del derby con la Juve alla vigilia dell'anniversario e il ritorno nell'alta classifica. Il Toro corre per l'Europa, può ancora sognare addirittura la Champions, cosi il derby ha un valore non solo campanilistico, ma soprattutto concreto, come non succedeva da anni.

La prima data individuata per la stracittadina della Mole era stata proprio il 4 maggio, l'eliminazione della Juve dalla Champions ha facilitato l'anticipo a venerdì sera.

"Il 4 maggio è un giorno intoccabile - ha ribadito Walter Mazzarri, il tecnico che ha riportato il Toro alle soglie dell'Europa - non solo per chi ha fede granata, ma per tutta l'Italia". Alle celebrazioni per i 70 anni di Superga sarà dedicata tutta la giornata di sabato: al mattino la commemorazione al Cimitero Monumentale di Torino, con la benedizione del cappellano granata, alle 15 la messa solenne in Duomo poi il pellegrinaggio a Superga, dove alle 17 verranno letti i nomi delle 31 vittime del 1949. Ma la celebrazione granata ha riguardato anche altre città del Piemonte e ha moltiplicato la pubblicazione di libri sugli Invincibili. Per chi ha vissuto l'epopea del Grande Torino e la sua terribile fine, l'emozione è sempre forte: "Non potrò mai dimenticare quella mattina così triste, con quei tuoni spaventosi che lasciavano presagire qualcosa di brutto - ricorda Enrico Brocchetta, classe '33 - poi alla sera si è saputo che il Torino non c'era più. Che dolore immenso! Lavoravo in via Roma come vetrinista, il giorno dei funerali mi affacciai alla finestra con sgomento per vedere passare il funerale, quell'interminabile sfilata di camion con le bare dei giocatori". Ricordare il Toro degli Invincibili rinnova il dispiacere, ma ravviva anche ricordi di semplicità e romanticismo persi: "Andavamo in bici a vedere gli allenamenti al Filadelfia e ci trovavamo all'oratorio per seguire alla radio le partite, dal momento che pochi avevano gli apparecchi in casa. Ma c'era un problema - sorride Brocchetta - a quel tempo a Torino erano tutti tifosi granata, era difficile riuscire a organizzare una sfida tra noi ragazzi con quelli della Juve...".

Ventisette anni dopo Superga, la gioia dell'ultimo scudetto, "del Toro di Pulici e Graziani, allo stadio con mio figlio, diventato anche lui un grandissimo tifoso, e con una famiglia di amici". Adesso Brocchetta il Toro lo vede "solo in tv, anche un pò per pigrizia - ammette - ma questa squadra è tornata a far paura a tutti". Come dovrebbero fare sempre - pensano i cuori granata - gli eredi degli Invincibili.

"Non so ancora come passerò quel giorno, di solito non ci penso: come sempre, deciderò all'ultimo": Sandro Mazzola quel 4 maggio del 1949 aveva 7 anni, suo padre Valentino era il capitano di una squadra imbattibile, se non dal destino.

In quell'aereo che trasportava tutta la squadra di ritorno da una trasferta a Lisbona per un incontro amichevole con il Benfica morirono 31 persone: i giocatori, i dirigenti, i membri dell'equipaggio e tre giornalisti sportivi. Una tragedia e una formazione la cui "memoria storica non si perderà mai - assicura Sandro Mazzola - È impossibile. Quella squadra era diversa da tutte quelle del suo tempo, era una squadra moderna, velocissima e che occupava tutte le zone del campo. Non so se qualche squadra moderna può far capire ai giovani cosa fosse quel Torino. In realtà no, forse può essere avvicinata per la sua modernità al Milan di Sacchi, forse..".

Come succede per ogni figlio che ha perso il padre, a maggior ragione se si è trattato di un evento tragico e inaspettato, Sandro Mazzola ha impresso nella sua mente alcuni ricordi indelebili: "L'ultima immagine che rimane da 70 anni nella mia mente - racconta - è di quando io andavo a giocare a pallone di nascosto in strada con i miei amichetti: papà non voleva che dessimo fastidio. All'inizio lui faceva finta di niente, ma ricordo bene quel giorno in cui mi venne a togliere il pallone di plastica. Poi ricordo anche di quando entravo in campo mano nella mano con lui e mi faceva tirare i rigori a Bacigalupo, e lui, il portiere del Grane Torino, mi faceva segnare sempre. Così io ero molto contento di fare gol e di sentire gli applausi dello stadio". Tra i ricordi più belli dopo la tragedia - conclude Mazzola - "quello di tutta quella gente al Filadelfia per mio padre ed il Grande Torino". Meno bello, forse, quanto successo molto dopo, il peggio delle tifoserie nello sfregio del ricordo: "All'estero - chiude l'ex fuoriclasse dell'Inter, riferendosi alla tragedia della Chapecoense - credo che ci sia più rispetto rispetto a quanto succede da noi". 

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