Trento a picco: le ragioni di una crisi senza fine

di Guido Pasqualini

Quattro vittorie su ventinove partite giocate, 22 punti in classifica, ultimo posto in classifica, playout distanti 5 punti, salvezza diretta addirittura 11. A sole cinque partite dalla fine è questo il disastroso bilancio del Calcio Trento in serie D. «Sbagliando s’impara», recita il proverbio. Vale per molti, non per tutti. Ne sanno qualcosa in via Sanseverino. Lo scorso anno la salvezza arrivò all’ultima giornata.


Fu decisivo un gol di Alessio Zecchinato con cui il Trento espugnò il campo di un Pontisola già certo dell’accesso a quei playoff che, stando ai proclami precampionato del presidente Mauro Giacca, erano l’obiettivo minimo per i colori gialloblù.

«Lo scotto del passaggio di categoria», si disse all’epoca pensando che la stagione successiva sarebbe stata quella del riscatto. Nulla di più errato. Quest’anno si è fatto peggio. E così il calcio resta l’anomalia in una città in cui volley e basket vedono le loro squadre primeggiare in Italia e, per quanto riguarda l’Itas, anche all’estero. Già, ma perché?

IL PECCATO ORIGINALE

Il 6 aprile di due anni fa, vincendo 4-2 ad Appiano, il Trento conquistava il ritorno in serie D con un mese di anticipo sulla fine del campionato. La stagione si concluse trionfalmente con 80 punti (14 di vantaggio sulla seconda classificata, il Bozner), il record di vittorie (26 su 30 partite) e di gol segnati (92). Troppo poco per i vertici societari se è vero, come è vero, che l’allenatore Stefano Manfioletti, artefice del doppio passaggio dalla Promozione alla D, venne liquidato e la rosa smembrata. Vennero cacciati praticamente tutti - compreso bomber Gherardi, capace di segnare 32 gol in 26 partite - per costruire l’«invincibile armata», quella che avrebbe dovuto creare i presupposti per portare il Trento in serie B nel giro di 4-5 anni.
 
Prudenza e logica avrebbero suggerito di puntare sulla conferma del mister e su alcuni robusti innesti che permettessero di conquistare una salvezza tranquilla e di aver un anno per studiare la categoria. Ragionamento seguito da Virtus Bolzano e San Giorgio, le due squadre regionali neopromosse in D: ora la prima è già salva, la seconda lotta in zona playout. Ma a Trento no, perché si voleva tutto e subito.

I GIRONI SBAGLIATI

Convinti che la squadra sarebbe stata inserita nel girone veneto di serie D, i dirigenti vollero in panchina Roberto Vecchiato, in precedenza allenatore del Belluno, e giocatori veneti. I gialloblù, invece, si trovarono ad affrontare il girone lombardo che nessuno conosceva. Quest’anno situazione inversa: si gioca in Veneto ma il direttore sportivo lombardo, Erminio Gizzarelli, ingaggia calciatori del suo circondario e, quando si decide di esonerare Claudio Rastelli, si chiama Luciano De Paola, che in pratica ha allenato sempre e solo in Lombardia. Lungimiranti, non c’è che dire. «Ok, ma alla fine che differenza c’è? Sempre calcio è», direte voi. Vero, ma solo in parte. In Lombardia si gioca più di fino, tecnica e tattica la fanno da padrone, mentre in Veneto, non a caso patria del rugby, le partite sono molto più fisiche, con giocatori che ti francobollano dal primo all’ultimo minuto.  

LA GIOSTRA

Sarà forse la vicinanza con il luna park che ciclicamente invade il parcheggio di via Sanseverino. Di fatto al Briamasco in questi due anni si sono visti in azione tre allenatori diversi per stagione: prima Vecchiato, Filippini e Rastelli, poi Rastelli, De Paola e Bodo. Con un retroscena per certi versi esilarante: al posto di Vecchiato pare che si volesse portare a Trento Emanuele Filippini, nel frattempo però accasatosi al Rezzato, e per questo si ripiegò sul gemello Antonio. Da parte sua Rastelli si è ritrovato a tornare controvoglia in panchina dopo aver fallito nel nuovo incarico di direttore sportivo. E Bodo ha di fatto sempre allenato nei settori giovanili, dove le dinamiche sono assai diverse.   

Non ci si è fatti però mancare nulla anche a livello di calciatori. In via Sanseverino, in queste due stagioni, ne sono passati ben 71 (39 nella scorsa stagione, 32 quest’anno). Con un particolare: quando se ne vanno da Trento, tornano a giocare bene. Dragoni, per dire, adesso è titolare fisso a Lecco nella formazione allenata da Marco Gaburro (altro ex mister gialloblù) che domenica scorsa ha conquistato in anticipo la promozione in serie C e Bardelloni nell’Adrense ha ripreso a segnare.

IL GUAIO VERO

«Dove son troppi a comandare nasce la confusione» disse una volta l’ex presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Al Calcio Trento abbiamo un presidente, due vicepresidenti, un direttore generale, sette consiglieri di amministrazione, un team manager, un dirigente accompagnatore oltre a tutto lo staff tecnico. Intorno a questo arcipelago dirigenziale ruotano altri personaggi, con o senza ruolo. E tutti dicono la loro, tutti saprebbero come risolvere la situazione, tutti sono pronti a dare la colpa all’altro.

Alla Trentino Volley ognuno rispetta il ruolo che gli viene assegnato e la decisioni fondamentali vengono assunte da tre persone: il presidente Diego Mosna, il general manager Bruno Da Re e l’allenatore Angelo Lorenzetti. Punto. E le cose, lo dicono i risultati, funzionano.   

È pur vero che la serie D è gestita dalla Lega nazionale dilettanti, ma in via Sanseverino quest’ultimo termine l’han preso fin troppo sul serio. E in questa situazione ha probabilmente ragione una delle 71 meteore viste in questi due anni al Briamasco, l’attaccante Tommaso Lella: «A Trento c’è tutto per fare calcio, niente per metterlo in pratica».

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