Mvt - Il campione trentino di tutti i tempi Nuova sfida: Fondriest vs Confortola Votate il vostro atleta del cuore

di Maurilio Barozzi

Nuova sfida tra campioni del nostro sondaggio “Mvt - Il campione trentino di tutti i tempi”: oggi è tra la fondista Antonella Confortola e il campione di ciclismo Maurizio Fondriest.

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MAURIZIO, L’IRIDATO

L’inizio della carriera è a metà degli anni Settanta. Maurizio Fondriest, assieme al fratello, segue papà alle gare di ciclismo. «Adesso se uno vuole praticare sport, qui a Cles ha molte opportunità, ma ai tempi non c’era granché da scegliere, forse soltanto lo sci. A calcio ci giocavamo in strada o su qualche prato e così, quando papà e Francesco Rensi hanno riportato in vita la gloriosa Anaune di ciclismo, ho cominciato. Avevo circa 10 anni».

E da quel giorno, Maurizio è saltato a cavallo della sua bicicletta e non è più sceso. Aveva solo 23 anni quando a Renaix, in Belgio, vinse il mondiale aprendo la strada a una carriera folgorante, che aveva come stella polare il nome di Eddy Merckx. «Era lui il mio idolo. Quando, da ragazzini, qui in paese ci sfidavamo in bicicletta, ognuno di noi si prendeva un nome famoso e io sceglievo sempre Merckx. Mi attirava come campione ma anche per via del nome abbastanza strano» ricorda Fondriest.

Quel mondiale, conquistato da giovane ma non a sorpresa, fu la conferma delle doti che Fondriest aveva già messo in mostra: forza, resistenza sulle lunghe distanze, colpo d’occhio e intuito per individuare il momento propizio che le corse presentano. E proprio in considerazione di queste sue doti, ancora oggi è amareggiato per come perse l’Amstel Gold Race del 1991, battuto dall’olandese Frans Maassen al termine di una volata ristretta in cui Maurizio sembrava padrone ma dove non è mai riuscito a trovare il varco giusto. «Sono passati ventinove anni ma ci ripenso spesso. Fu una volata scorretta con Maassen che mi ha chiuso prima a sinistra e poi a destra, impedendomi di passare. Ammetto che quella corsa mi sta ancora sul gozzo» ripensa. E racconta che una volta, a carriera già terminata, si ritrovò a chiacchierare con un commissario di gara olandese che nel 1991 era ancora un giurato imberbe. «Ricordo che tornammo su quella sfida e anche lui mi disse che si ricordava di quell’episodio. Quando mi domandò: “Sei ancora arrabbiato con Maassen?” non risposi nemmeno».

Nonostante la vittoria della maglia iridata, che coronerebbe da sola una carriera, la vittoria che Maurizio ricorda con più trasporto è la Milano-Sanremo, dominata nel 1993. «Non tanto per la gara in sè, perché un mondiale è sempre un mondiale e avere quella maglia è un sogno per qualsiasi sportivo, quanto perché il giorno stesso che vinsi la Sanremo al mattino era nata la mia prima figlia Maria Vittoria. Dunque quella fu una giornata piena e eccezionale», spiega. Tanto più che era una corsa da un po’ nel mirino di Maurizio. «Ero già arrivato secondo nel 1988 dietro a Fignon. Mi batté in volata ma probabilmente fui un po’ ingenuo e lo sottovalutai. Tuttavia sapevo che quella era una gara adatta alle mie caratteristiche. Un’altra bella cosa che ricordo di quella Sanremo del ‘93 è che tutti sapevano la mia tattica: arrivare ai piedi del Poggio avendo speso meno energie possibile e fare lì la vera volata per arrivare in cima da solo. E ci sono riuscito». Un successo, quello, che a circa un anno di distanza contribuì a lenire anche l’amarezza di Fiandre sfuggitogli in malo modo. «Fu la più grande delusione della carriera. Arrivai quarto ma sbagliammo tutto lasciando andare una fuga a venti minuti. Poi non ci fu più niente da fare». 

ANTONELLA, PLURIDECORATA

È salita sul podio olimpico a Torino, ha colto due medaglie mondiali nel fondo, tra Ramsau 1999 e Oberstdorf 2005 e tre nella corsa in montagna, dove spicca il titolo iridato lunghe distanze del 2013 ed a cui si aggiungono i due argenti del 2002 e del 2016. Un bottino oltremodo ricco, tale da tenere testa a quello del marito Jonathan Wyatt, sette volte campione iridato della corsa in montagna ed oggi presidente dell’Associazione Mondiale della specialità, conosciuto proprio sui sentieri di gara.

Mamma di Dorothy (poco più di un anno), dal giorno del ritiro avvenuto nel 2017, Antonella Confortola è carabiniere forestale nell’agordino, ma lo sport riveste sempre un ruolo fondamentale nella sua vita quotidiana.
«Lo sport mi ha dato tanto, mi ha insegnato ad affrontare la vita e ancora oggi mi diverto a correre o a sciare. A volte si tende a ricordare solo i successi, ma per arrivarci si passa inevitabilmente anche da periodi difficili o meno positivi e lo sport insegna ad affrontarli e a superarli. Per questo serve passione, consapevolezza e capacità di soffrire».

Tante medaglie in una carriera lunghissima: quali sono le emozioni che Antonella Confortola sente più forti? «Sono due, direi. Sicuramente il bronzo di Torino: salire sul podio olimpico in casa è stata una fortuna incredibile. Avevamo una grande squadra (con lei Arianna Follis, Gabriella Paruzzi e Sabina Valbusa) ma è stata una medaglia fortemente voluta, conquistata. E poi il titolo mondiale di corsa in montagna del 2013, in Polonia. E’ arrivato dopo una gara di oltre 4 ore che affrontavo con tutti i dubbi del caso e vincere è stata un’emozione fortissima».

Sugli sci stretti ha potuto attraversare tre ere del fondo azzurro, ricevendo di fatto il testimone dalla covalligiane Bice Vanzetta. Entrata nel giro della nazionale a vent’anni (dopo aver superato problemi fisici di non poco conto) si è ritrovata a crescere nel periodo dei fasti di Stefania Belmondo e Manuela Di Centa, quindi a sudare al fianco di Arianna Follis e Gabriella Paruzzi, per poi vivere anche la meno esaltante edizione olimpica di Vancouver 2010. Personalità forti che necessitavano di figure più delicate, tranquille, riflessive. Ed Antonella Confortola era proprio così: ragazza che non ama pestare i piedi e che anzi, cerca nel limite del possibile di andare d’accordo con tutti.

«Se avessi avuto un carattere più deciso, magari avrei vinto di più, impossibile dirlo. Di certo è stata la corsa ad insegnarmi a dare il tutto di me stessa, ad osare di più. Il fondo è stata la mia prima grande passione, ho iniziato a 5 anni in Valfurva, ospite dei parenti di mio padre (Raffaele, ex atleta e tecnico delle Fiamme GIalle) e da lì è iniziata la carriera. A correre ho iniziato un po’ per caso, nel 2002 ed è subito arrivato l’argento ai Mondiali l’anno successivo il bronzo agli Europei di Trento, poi ho preferito concentrarmi sul fondo fino a Torino e quindi fino a Vancouver. Pur essendo discipline complementari, non possono essere preparate al top contemporaneamente: nel fondo serve più potenza fisica, nella corsa è necessario essere leggeri, difificile conciliare appieno le due cose. Dopo il 2010 sono tornata a correre forte ed ecco il titolo mondiale».

Tabellone parte sinistra

Tabellone parte destra

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