Mvt: il campione trentino di sempre Quarta sfida: Zorzi vs Stoppini Votate il vostro atleta del cuore

La sfida del nostro sondaggio per decretare il «MVT - Il più grande campione trentin odi sempre», ovvero di tutti i tempi, entra nel vivo. Oggi votate per il duello tra il fondista Cristian Zorzi e il tennista Andrea Stoppini.

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CRISTIAN “ZORRO” ZORZI

La fuga trionfale di Cristian Zorzi a Torino 2006 è l’immagine più iconica del fondo azzurro del terzo millennio. L’arrivo sul rettilineo di Pragelato con il tricolore al vento, il berretto bianco a coprire la chioma rosso acceso, il gesto di zittire la folla (e chi l’aveva criticato in apertura di stagione) prima dell’esultanza nazionale sono momenti impressi nella mente di tutti, appassionati e non. E naturalmente anche in quella di Zorzi, oggi quarantottenne.

«Una vittoria che sento mia, davvero, a pensarci mi viene ancora la pelle d’oca. Anzi, “de galina” come piace dire a me, anche se l’ho rivista poche volte, un paio. Sono due i ricordi che mi legano a quella gara. Il primo, è della vigilia. Eravamo schierati tutti quattro alla conferenza stampa: Pietro Piller Cottrer, Bubu Valbusa, Giorgio Di Centa ed io. Loro avevano pensato di aggrapparsi alle consuete frasi di circostanza, tenendo un profilo basso. Al contrario mi son sentito di dire che ero lì per vincere e che ce la potevamo fare. Mi hanno guardato male e abbondato di gesti scaramantici. Ma alla fine avevo ragione io».

Ed il secondo? «Alla strana sensazione che ho provato in gara. Ho ricevuto il cambio da Piter in testa, seppur di poco e d’istinto ho deciso di provare ad allungare. Mossa azzardata? A posteriori no, ma sul momento mi sentivo protagonista in una situazione non mia: a dirla tutta avrei preferito vincere in volata, ci sarebbe stata più adrenalina. Ed allora in attesa del traguardo ho lasciato andare nuovamente l’istinto. Ma prima ho avuto anche il tempo di pensare alla mia famiglia, a mia moglie, a chi mi aveva permesso di arrivare a quel punto».
Nel bene e nel male, l’istinto è stato spesso il compagno di avventura del moenese che ora segue gli atleti azzurri di Coppa del Mondo e non solo. Ma accanto al trionfo di Torino, ci sono altri due momenti olimpici, a Salt Lake City 2002 e Vancouver 2010.

«Nello Utah credo di aver vissuto il mio vero salto di qualità. Avevano già vinto l’argento a Lahti, ma l’Olimpiade era altra cosa, eppure sono tornato a casa con il bronzo nella sprint e l’argento nella staffetta: in quei giorni ho capito che avrei potuto davvero andare lontano e ho cercato di mitigare un tantino i miei comportamenti ed il mio atteggiamento. Non troppo, lo si è visto anche dopo, ma ho cercato di fare il guascone con più moderazione.

A Vancouver invece ero ormai maturo e ho potuto gustare appieno lo spirito olimpico. Nelle due precedenti esperienze ero concentrato esclusivamente sulla neve, in Canada invece ho voluto partecipare alla vita a cinque cerchi, cerimonie ed eventi inclusi. E pur senza acuti particolari, la ricordo con grande emozione».
Coinvolgente, dissacrante, tecnicamente sopraffino, testone dal cuore d’oro, sempre pronto alla battuta ma mai banale, simpatico ed allo stesso tempo diretto ed affilato come la spada di Zorro, soprannome affibbiato da Valbusa che l’ha accompagnato per l’intera carriera. Ha polemizzato, ha criticato quando ne sentiva la necessità, ma non si è mai tirato indietro: un campione ed un trascinatore, un personaggio vero, autentico che ha saputo esaltare lo sci di fondo, un autentico caposaldo nella storia dello sport trentino, nazionale, mondiale.


 

ANDREA STOPPINI CHE BATTE’ AGASSI

Nello splendido libro “Open” di Andre Agassi, scritto con un premio Pulitzer, fresco 50enne e tra i migliori tennisti di sempre da n.1, c’è citata la sua sconfitta nel torneo 500 di Washington contro il trentino Andrea Stoppini. Il rivano da n.246 era uscito dalle qualificazioni e rifilò un 6-3 6-4 al “Kid”, sceso al n.22 e all’ultima stagione ma sempre una leggenda, che spaccò la racchetta sul cemento e stringendo la mano a quel “Carneade” gli disse “good luck”.

«Me la sarei presa quella racchetta divelta in quella serata del 2006 quando il mio gioco d’attacco funzionò a meraviglia. Lui la regalò ad un bambino - afferma “Stoppo” oggi tecnico federale e direttore del centro agonistico del Ct Rovereto con il fratello Luca - e me la sarei attaccata al muro di casa. Certo è stata la più grande soddisfazione della mia carriera. Battei l’americano con una tra le Fischer che in officina mio padre, meccanico, segò di un centimetro per ogni manico. Il giorno dopo persi da Mardy Fish, un altro top 50. Un altro momento emozionante è stato nel 2009, la mia miglior stagione, quando al 1° turno dell’Australian Open mi sono trovato di fronte, uscito dalle quali, proprio il n.3, l’attuale regnante sul trono dell’Atp, il serbo Nova Djokovic.
Magari se beccavo un n.50 avrei avuto maggior potenzialità di avanzare. Questo sport ti mette sempre di fronte al sorteggio, mi rimase la consolazione di tre set tirati e dello scambio di magliette. Poi a S. Josè, in febbraio, ricordo un ko sul filo del rasoio per 7-6 7-6 con l’argentino Martin Del Potro, un altro top 10, che qualche mese dopo avrebbe trionafto agli Us Open. A maggio vinsi il Challenger a Smirne e in luglio mi regalai il best ranking da n.161».

Qualcuno gli ha spesso detto, qualche coach di passaggio visto che Andrea non ne ha mai voluto uno fisso, che avrebbe dovuto giocare di più negli Usa, sul veloce. «Il gioco d’attacco, servizio incisivo e colpi al volo con un rovescio bimane incantevole ed efficace, lo devo agli insegnamenti a Riva del Garda, dai 7-8 anni, del maestro neozelandese Jack Rieder (uno che poi ha fatto rinascere l’ucraino Dolgopolov tra i primi 20 e il serbo Troicki, ndr). Lui aveva guidato anche la prima serie A a Riva con De Minicis, Filippeschi e lo statunitense Conheour. Da piccolino imparai molto, forse più che al centro federale di Cesenatico, gestito dal ceco Smid». Comunque “Stoppo” ha ottenuto 10 vittorie in 21 incontri contro i top 100. «Ricordo i successi contro i francesi Benneteau e Clement, contro il cipriota Baghdatis, contro il russo Kunitsyn, in A1 contro il kazako Goluber e l’ucraino Stakhovsky».

Di cosa si pente? «Di non aver superato l’ultimo turno di qualificazione a New York - 2 volte contro Dupois e Petschner perdendo 7-6 al 3° set - e sull’erba a Wimbledon contro l’americano Ram. Mi è dispiaciuto anche non vincere uno scudetto con l’Ata Trentino, nel 2006 contro Capri quando ci fermò il doppio della Davis Starace-Galimberti e nel 2012 a Rovereto contro Forte dei Marmi di Volandri. La crisi attuale per il virus? Ci vogliono regole chiare per il tennis da giocare adesso in sicurezza e con protocolli avvallati anche da scienziati. Noi tecnici ci prenderemo le responsabilità ma la salute è la prima cosa che va tutelata».


 

Tabellone parte sinistra

Tabellone parte destra

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