Wierer: «Il mio team non si tocca, altrimenti potrei anche smettere»

di Luca Perenzoni

«Tornare dalla Finlandia dove ci si ostinava a credere che tutto fosse normale e trovare l’autostrada deserta in una domenica sera di marzo mi ha fatto specie. Ora c’è da affrontare questa situazione drammatica: a tutti noi viene chiesto di stare a casa e dobbiamo farlo, per il bene di tutti. Devo ancora abituarmi a questa nuova condizione, ma serve l’impegno assoluto di tutti noi. Da parte mia, se proprio devo guardare al lato positivo della cosa, si tratterebbe della prima primavera in cui posso davvero riposare».

Dorothea Wierer ha fatto rientro a Castello di Fiemme nella serata di domenica, dopo aver conquistato sabato la seconda Coppa del Mondo generale, nel nord finlandese di Kontiolahti. Un trionfo che l’ha proiettata ancor più nella storia dello sport italiano (mai nessuna atleta azzurra ha conquistato due Coppe del Mondo consecutive prima), sia del biathlon a tutto tondo, visto che solo tre atlete prima di lei erano riuscite nella doppietta ravvicinata. Il tutto dopo aver raccolto nel giro di due stagioni anche tre titoli mondiali.

Che effetto fa?

«Sono state sicuramente emozioni forti. Ma vuoi per la situazione che stiamo attraversando, vuoi per il fatto che sono appena arrivata a casa, non ho ancora avuto modo di pensarci. Non sono un’appassionata di statistiche, anzi. E preferisco non portare i trofei a casa. Li lascio dai miei, a Rasun di Anterselva, sia le Coppe del Mondo che le medaglie: preferisco non fare entrare troppo del biathlon nella mia vita quotidiana, se non il minimo indispensabile, abbigliamento o sci. La stessa Coppa del Mondo che mi spediranno nelle prossime settimane, la faccio recapitare ad Anterselva. Quando sono in famiglia, voglio staccare la spina».

Ora ne avrà modo.

«Due settimane senza impegni, senza appuntamenti, probabilmente anche senza allenamenti: non credo sia mai capitato. Le userò per fare tutte quelle cose che non ho mai tempo di concludere, come rispondere alle mail e alle lettere che mi scrivono i fan. Sono tantissime e userò il tempo per provare a rimettermi in linea. E poi, finalmente avrò due settimane per stare insieme a mio marito Stefano: tra un impegno e l’altro, non ci vediamo mai ed essendo costretti a casa, sfrutteremo al meglio questo tempo. Farò anche la casalinga: pulizie, cambio armadio e via dicendo».

Attenzione: Dorothea potrebbe riscoprirsi massaia e rinunciare alla carriera.

«Non credo che ci sia il pericolo. Anzi. Per fortuna c’è Stefano che cucina per me. Anche domenica, quando sono arrivata mi ha fatto trovare una bella cenetta».

Scherzi a parte, la domanda che va per la maggiore è cosa sarà del futuro di Dorothea Wierer.

«Non lo so, lo capiremo tra metà aprile e maggio. Questa stagione mi ha fatto capire che il fisico e la testa sarebbero in grado di andare avanti. La motivazione per provare a vincere ancora c’è, ma il discorso da fare è molto più ampio. A cominciare dallo stimolo di tornare a faticare, finita questa pausa; non è scontato. L’altro aspetto molto importante sarà quello dello staff tecnico».

In che senso?

«Nel senso che se il nostro team dovesse subire troppi cambiamenti, non avrei remore a dire basta. Credo che sia sotto gli occhi di tutti cosa è riuscita a fare la nostra squadra in questi ultimi anni».

Doro non fa e non vuole fare nomi. Ma in un team così ristretto come quello azzurro è fin troppo facile pensare al ruolo carismatico e tecnico di Andreas Zingerle e al sostanziale apporto dato dal fiemmese Andrea Zattoni in queste due stagioni, sia sul mero piano tecnico, sia sul fronte dell’empatia con gli stessi atleti. Insomma, discorso rimandato, nella speranza che se questa dovesse essere la chiave di volta, non venga rivoluzionato il team azzurro.
Torniamo alla stagione appena conclusa. Il 23 febbraio, dopo i Mondiali dei due ori e due argenti, Dorothea Wierer si era data un 9. A fine stagione, si può confermare il voto?

«No dai, credo di poter meritare un 10-».

Stupisce, quel meno.

«Non tutto è andato come doveva. Inutile nasconderlo. Soprattutto il tiro in piedi. Prima dei mondiali per il mal di schiena, per fortuna rientrato grazie al lavoro di fisioterapisti e osteopati; nelle ultime due tappe per la situazione in cui ci trovavamo e per la stanchezza».

Proprio il tiro in piedi poteva risultare fatale nella volata per la Coppa del Mondo, nell’inseguimento finale di Kontiolahti. Dopo i due errori nel terzo poligono, la Coppa sembrava ormai di Tiril Eckhoff.

«I due errori sono stati pesanti. Ma non ho voluto pensare: nella prima parte di gara la vedevo sempre davanti a me, di pochi secondi. Dopo i due errori non l’ho più vista e ho pensato solo a spingere a tutta. Correvo il rischio di scoppiare, ma non volevo avere rimpianti. Poi ha sbagliato anche lei e tutto è andato per il meglio e quando me la sono ritrovata al fianco nelle ultime centinaia di metri ho capito che non dovevo lasciarla scappare, che la Coppa poteva essere davvero mia, ancora. Ma naturalmente non ero nelle migliori condizioni possibili».

Ha detto che non si sarebbe dovuto gareggiare.

«La situazione era ed è troppo tragica nell’Europa
continentale. Era inutile nascondere la preoccupazione e fare finta che nulla fosse. Si è voluto farlo, a quel punto mi ha fatto piacere aver permesso almeno agli appassionati di biathlon di non pensare per qualche minuto alla drammaticità di questi giorni».

Torniamo alla stagione passata. C’è un momento che ricorda maggiormente.

«Difficile scegliere, ma probabilmente è il giorno del primo oro di Anterselva. Quel successo, più ancora dell’argento della staffetta a squadre, mi ha scaricata di tutta la pressione che sentivo addosso. Disputare un Mondiale in casa è una fortuna che in pochi possono vantare, ma accumula anche tante attese, specie se si può vincere e fare bene. Ecco quel giorno è stato davvero speciale».

E sul fronte opposto, c’è un giorno particolarmente negativo di questo inverno?

«Gare storte ce ne sono state. Su tutte l’individuale di Pokljuka, credo. Quattro errori in piedi mi hanno fatto sprofondare: il mal di schiena aveva fatto il suo, ma iniziare così l’ultima tappa prima dei Mondiali non è stato un bel segnale. A posteriori posso dire che fortunatamente è stato solo un episodio e che siamo stati bravi a rimettere in sesto il tutto».

E allora, appuntamento alla prossima stagione?

«Per ora penso a riposare, a mangiare e a riposare. E a fare il tifo per l’Italia».

comments powered by Disqus