«La mia 30ª Marcialonga dura, faticosa ma unica»

di Giuseppe Ferrandi

Per la trentesima volta ho terminato la Marcialonga. E ne sono orgoglioso a prescindere dal risultato cronometrico e dalla posizione in classifica. Mi ritengo un «bisonte», forse un bisonte che nel tempo si è evoluto per il semplice fatto che lo sport amatoriale è cambiato. La preparazione e gli allenamenti sono diventati meno casuali. I materiali sono migliorati. Forse c’è anche l’ambizione disperata di non peggiorare (troppo) di anno in anno. La «sana» competizione con alcuni amici, che ogni ultima domenica di gennaio si gioca sul filo dei minuti.

L’esperienza Marcialonga è ovviamente qualcosa di più. In particolare questa 43ª edizione considerata da molti concorrenti tra le più dure. Con la sua autorevolezza il «senatore» Luigi Delvai l’ha inserita nelle tre più dure di sempre. Dura, faticosa, ma assolutamente unica. Lo sanno bene gli appassionati degli sci stretti: in questo inverno «drammatico» la Marcialonga ha confermato (credo unica gran fondo) i suoi canonici 70 km, tutti su neve artificiale. Un’ulteriore conferma della vocazione di queste valli del Trentino di essere punto di riferimento assoluto per gli sport e vero paradiso dello sci nordico.

Per quel che mi riguarda queste trenta partecipazioni (compresa l’edizione «breve» che si è fermata a Predazzo) cominciano ad essere un bel patrimonio di fatica, sensazioni, ricordi. All’origine, nel lontano 1971, vi è anche il ricordo infantile della prima edizione che ha visto mio padre concorrente. Lo spettacolo era assicurato e bastava appostarsi in fondo alle discese per assistere a scene fantozziane. La sera, eravamo ospiti della famiglia Iellici al Dolomiti di Moena, il ritorno in albergo di un uomo felice e distrutto. Sono seguite altre sue edizioni della Marcialonga, con i riti della sciolinatura notturna/mattutina e con il ripetersi del grande spettacolo della partenza della mandria dei bisonti. Sono forse queste immagini, oggi in bianconero, allora a colori, che mi spingono a partecipare ogni anno (questa era la quarta edizione) alla Marcialonga story, che si è svolta sabato mattina con partenza dal centro fondo di Lago e arrivo a Predazzo. Da fare e ripetere assolutamente! Almeno fino a quando alcuni amici, tra i quali Enzo Macor, continueranno a prestarmi l’attrezzatura d’epoca.

Sono un marcialonghista da trenta edizioni, ma non sono un marcialonghista «ontologicamente» completo. Lo ammetto! Ogni anno mi faccio preparare gli sci da Sandro Zeni di Tesero (anche quest’anno impeccabili). Alla vigilia mi è stata rivolta una domanda davvero insidiosa: tenuta o scorrevolezza? Ho optato per la seconda, chiedendo però di calcolare e di prevedere l’andata fino a Canazei. Questo del «non sciolinare», del procedere con le sole spinte, sta diventando un tormentone. Immagino quanta passione per risolvere questo dilemma.

L’esperienza Marcialonga è difficile da raccontare. Consiglio a tutti di viverla anche solo come spettatore. Il pubblico è sicuramente uno dei fattori che fanno la differenza tra questa e altre gare. Il percorso è scandito da tanti attraversamenti di paesi di Fassa e Fiemme. Quest’anno vi è stata la felice novità di Canazei. Già da qualche anno anche le vie centrali di Predazzo sono diventate percorso di gara e quindi occasione di incitamento e di tifo. Storico è il doppio passaggio da Moena e l’arrivo, al termine della salita della Cascata, di Cavalese. Vi è poi il lavoro sorridente delle volontarie e i volontari che riescono a rendere bella la fatica. Alle loro spalle uno staff di altissimo livello, che ogni anno ne pensa una nuova.
La mia 43ª edizione è iniziata, come quella degli altri concorrenti, dalla piana di Moena. La tensione emotiva del pre-gara è sempre la stessa dopo tanti anni. Pochi minuti dopo la partenza, in particolare verso Soraga, la tensione lascia il passo ad una sorta di dialogo interiore. Si guarda avanti, si spinge, si guardano i pettorali per capire se il tuo avversario (immaginario) è nelle vicinanze. Personalmente divido la gara in due. Per il sottoscritto è la discesa che porta a Moena sulla via del ritorno lo spartiacque. Dopo è un secondo tempo non solo perché siamo a metà gara, ma perché qualcosa cambia anche nel mio intimo.

Una piccola crisi l’ho avuta proprio allo stadio del fondo di Lago di Tesero. Poi mi sono ripreso al giro di boa di Molina. Da quel momento è anche questione di dignità! Si cerca di procedere nel modo più ottimale. Bisogna attingere a tutte le risorse rimaste non dimenticando che dopo pochi chilometri, comunque in leggera salita, inizia la mitica e famigerata salita della Cascata.
Fondamentale è lo stop per sciolinare gli sci prima di «lanciarsi» negli ultimi chilometri. Quest’anno ho imparato la lezione. Gli sci appena sciolinati vanno fatti riposare. Una decina di metri a piedi per impedire che facciano «zoccolo».
Poi avanti: il tratto più duro della salita, le curve, le prime case di Cavalese, l’arrivo e la grande soddisfazione!

C’è poi un dopo gara fatto di commenti, battute e confronti. In occasione del pasta party ho incontrato la squadra lunghe distanze del GS Brentonico. Ho scoperto che gli atleti di punta hanno scelto di non sciolinare e mi hanno anche rimproverato perché «non ho rigato gli sci». Sarà per la prossima volta!

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