Il Vino Santo è prezioso l'appello dei vignaioli: «proponetelo nei ristoranti»

Anche quest’anno un pubblico assai folto si è dato appuntamento in Valle dei Laghi per salutare il «Rito della spremitura delle uve appassite», da sempre uno dei momenti più significativi della rassegna «DiVinNosiola». L’obiettivo è, da dieci anni, quello di celebrare la rimozione dei grappoli d’uva dai graticci sui quali gli acini hanno perso consistenza nel corso dell’inverno, esposti alla brezza del Garda, per procedere alla loro lavorazione, ottenendo il nettare che il tempo trasformerà in pregiatissimo Vino Santo.

Ad ospitare l’evento, quest’anno, è stata l’azienda agricola Gino Pedrotti di Lago di Cavedine, che ha aperto le porte a centinaia di persone desiderose di prendere parte a questo rito collettivo, la cui origine si perde nei secoli passati. Per la prima volta è stato inoltre affiancato da un’altra pratica recuperata dalla tradizione, grazie alle ricerche di Giuseppe Morelli, la cui figura è stata ricordata con affetto, quella della aspersione degli occhi: le donne, con un polpastrello bagnato in un calice di Nosiola, hanno così toccato le palpebre di chi desiderava far proprio il potere rigenerante e taumaturgico attribuito a questo vino bianco, così come avveniva in passato in Valle dei Laghi.

Fra le novità di giornata va citata la presenza dello spagnolo Carlos Martin Cosmè, presidente dell’associazione che riunisce tutte le confraternite europee, affiancato dal vicepresidente di quelle italiane, Alessandro Salarolo, entrambi invitati da Enzo Merz, Gran Maestro della Confraternita della Vite e del Vino di Trento, che non ha mancato di ricordare le caratteristiche peculiari di queste uve. Inoltre a rendere ancora più suggestivo il momento ci hanno pensato i canti del Coro Valle dei Laghi, diretto da Paolo Chiusole.

A fare gli onori di casa sono stati Giuseppe Pedrotti e la sorella Clara, ai quali oggi tocca il compito di portare avanti la tradizione agricola di famiglia, missione alla quale adempiono con entusiasmo, scommettendo senza indugi sulle pratiche biologiche. «Si tratta di una scelta che non abbiamo compiuto per adeguarci ad una moda, – ha evidenziato Giuseppe – ma perché questo è il futuro e perché questa è l’unica strada eticamente percorribile».

Un momento particolarmente significativo è stato il passaggio di consegne da Marco Pisoni a Enzo Poli (di Maxentia) nel ruolo di presidente dell’Associazione Vignaioli del Vino Santo Trentino, che ogni tre anni rinnova i propri vertici.

La giornata era iniziata con una degustazione verticale di sette annate di Vino Santo coordinata dall’esperto sommelier Massimo Zanichelli, era proseguita con il trekking guidato, che ha portato i partecipanti lungo il sentiero della Nosiola, e con i laboratori per i bambini. A chiudere l’intensa giornata ci ha pensato la degustazione del vino bianco, accompagnato dal pane prodotto per l’occasione da di tre panifici locali.

Nel corso della giornata, c’è stato spazio anche per il confronto fra addetti ai lavori, con i vignaioli che chiedono al comparto della ristorazione in Trentino di promuovere il Vino Santo e proporlo nella loro carta dei vini. Ecco allora l’appello: «Mettete il Vino Santo del Trentino nelle carte dei vini».

A sostenere la campagna del Consorzio Vignaioli del Trentino, riunitisi sabato 13 aprile alla cantina Gino Pedrotti di Cavedine per una degustazione di annate storiche (dal 1967 al 2011) prima del tradizionale Rito della Spremitura delle uve Nosiola appassite, è anche Roberto Anesi, il fassano miglior sommelier d’Italia 2017 per l’Ais, come racconta il giornalista Davide Bortone su WineMag: «Un naso e un palato fine, che parla anche in qualità di titolare di “El Pael”, il suo Wine Restaurant di Canazei: il Vino Santo Trentino offre la straordinaria opportunità al ristoratore di raccontare, attraverso il calice, la storia di un territorio, oltre a quella di un prodotto eccezionale e unico nel panorama dei vini dolci italiani».

«Non è un gran momento per questa categoria nel nostro Paese – continua Anesi intervistato da WineMag – e la colpa è anche della ristorazione. Quella trentina e, più in generale, quella italiana, dovrebbero prendere in seria considerazione il Vino Santo. Sarebbe utile anche averlo ovunque in mescita, al calice, per diffonderne la conoscenza tra i consumatori».

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