Italia, la tragedia covid e il Piano pandemico "fantasma" Il viceministro Sileri: «I responsabili vanno cacciati Da mesi chiedo invano spiegazioni ai dirigenti»

di Zenone Sovilla

Rimasta sotto traccia per troppi mesi, negli ultimi tempi si sta avvicinando all’attenzione mediatica e sociale la questione della sostanziale assenza in Italia di un Piano pandemico nazionale per affrontare emergenze drammatiche, come la tragica crisi covid.

Il tema, che a quanto pare imbarazza parte della tecnocrazia sanitaria e della politica romane, è oggetto anche di almeno un'inchiesta giudiziaria, mentre a denunciare la mancanza di un sistema di prevenzione sono stati per primi alcuni medici e comitati di cittadini, come quello bergamasco che riunisce i parenti delle vittime i quali chiedono che siano fatte luce e giustizia.

Ormai sembra assodato, grazie anche a inchieste giornalistiche che hanno svelato la realtà dello scenario istituzionale, che l’ultimo Piano pandemico aggiornato risale al 2006 e che sono cadute nel vuoto le diverse sollecitazioni arrivate da organismi nazionali e internazionali negli anni immediatamente precedenti all’epidemia di covid.

Lo ha confermato con toni fermi e seccati, ieri sera, in tv, il viceministro della salute, Pierpalo Sileri intervenendo ieri sera a La7 nel programma condotto da Massimo Giletti a “Non è l’arena” (una dei due due trasmissione, insieme a Report di Raitre che hanno indagato questa importante vicenda).

In sostanza, l’esponente del governo vorrebbe cacciare («con un calcio nel sedere») i responsabili amministrativi di questo fallimento della prevezione.

L’Italia si è trovata ad affrontare un’epidemia, peraltro a quel punto (fine febbraio 2020) ampiamente annunciata da ciò che accadeva in Cina, senza dispositivi di protezione nemmeno per il personale sanitario (il primo a pagare le conseguenze tragiche del virus, insieme agli anziani delle rsa), senza ospedali organizzati per far scattare immediatamente il pretriage con una presenza e circolazione interna disposte secondo aree “sporche” e pulite, in modo da contenere i contagi.

Quindi a gennaio 2020 ci siamo trovati con scarsità di mascherine, camici, ossigeno, respiratori e posti nelle terapie intensive, in un contesto ospedaliero non attrezzato a gestire un’ondata epidemica, fra l'altro dopo anni di disinvestimenti economici: «Costretti a improvvisare, usando anche sacchi della spazzatura per coprirsi», ha ricordato ieri in tv la virologa Maria Rita Gismondo.

Davanti a questo scenario tragico, Sileri ha puntato il dito contro la burocrazia della sanità statale: «Personalmente - e come me credo tutti i colleghi medici italiani - in tutti gli anni scorsi, pur lavorando in ospedale, non ho mai avuto l’opportunità di partecipare a momenti di aggiornamento per prepararci a un’eventuale allarme epidemico».

Il viceministro, commentando i diversi tentativi di intervista andati a vuoto con dirigenti pubblici romani che non rispondono ai giornalisti, oltre a criticare questo atteggiamento nei riguardi dei media, ha osservato: «Io odio il pressapochismo e odio quando non mi vengono date delle risposte. Ho fatto parecchie domande sui piani pandemici ed esigo una risposta: se il piano pandemico c’era o non c’era, se è stato aggiornato o no e soprattutto chi lo ha fatto. È facile: c’è una direzione generale, tre direttori generali che si sono avvicendati e ci sono dei dirigenti all’interno di quella sezione e ci sarà un numero di protocollo».

In particolare, Sileri, riferendosi all’attuale segretario generale del ministero della salute, nonché precedente direttore della prevenzione, Giuseppe Ruocco. «Per come la vedo io, credo che la cosa migliore, avendo visto i verbali del comitato tecnico-scientifico (dove lui è sempre assente) sia che il segretario generale del ministero si dimetta. Ed esigo una risposta su questo maledetto piano pandemico», ha tuonato l'esponente del governo.

Ma se i vertici della tecnocrazia pubblica sembrano poco inclini a dare spiegazioni ai cittadini, anche il ministro della salute, Roberto Speranza, finora è stato di fatto evasivo nelle sue risposte a proposito del Piano pandemico "fantasma" e di altre gravi circostanze che hanno ridotto pesantemente la capacità italiana di risposta al virus, con tutto ciò che ne è conseguito.

Il ministro ha menzionato, in particolare l’esistenza del Piano pandemico influenzale, che però non ha attinenza con l’allarme covid, cioè con la preparazione di meccanismi e strumenti per l’eventualità che il Paese possa precipitare rapidamente in uno stato di emergenza sanitaria a causa di agenti infettivi diversi e probabilmente nuovi.

L’ex generale Pier Paolo Lunelli, già comandante della Scuola per la difesa nucleare, batteriologica e chimica, ha ricordato in un report che «dal 2013 che gli Stati europei, e quindi l’Italia sono giuridicamente vincolati a mantenere costantemente aggiornata la pianificazione pandemica in aderenza alle linee guida dell’Oms e del Centro europeo per il controllo delle malattie. Il piano pandemico nazionale invece non è mai stato costantemente aggiornato, è obsoleto, inadeguato e incoerente».
Lunelli ha contribuito a scrivere i protocolli anti-pandemici di diversi Stati europei e pochi giorni fa è stato ascoltato anche dai magistrati di Bergamo che indagano sulla gestione dell’emergenza covid e dunque anche sull’esistenza o meno di un Piano pandemico aggiornato (e sull’eventuale ipotesi di omissione in atti di ufficio a Roma).

«L’Oms aveva lanciato un allarme specifico il 5 gennaio, e il 31 gennaio il governo italiano ha dichiarato lo stato di emergenza. L’Italia era impreparata al covid. Questo ormai mi pare un dato acquisito.
Finora abbiamo rilevato purtroppo che c’è stata tanta improvvisazione», ha spiegato la settimana scorsa  il capo della Procura di Bergamo, Antonio Chiappani, in un’intervista al Corriere della Sera. «Esiste un Piano datato 2017 che riguarda l’influenza. Effettivamente molte parti sono identiche a quello del 2006. Sicuramente il piano del 2017 non contemplava quanto accaduto con il covid-19. Solo in seguito, dopo la comunicazione dei casi in Cina, l’Istituto superiore di sanità ha presentato un piano strategico che ha però deciso di secretare».

I magistrati di Bergamo hanno chiesto aiuto anche all’esperto trentino Stefano Merler, ricercatore della fondazione Bruno Kessler, che già a febbraio aveva sollevato la questione del Piano pandemico obsoleto rilevando i rischi di una pesante e veloce progressione dell’epidemia.

Capita solitamente che decisori politici e tecnocrati si giustifichino affermando che l’Italia ha dovuto fare i conti con un virus nuovo e inatteso. Tuttavia, i piani per le emergenze servono appunto a farsi trovare per quanto possibile reattivi e strutturati per affrontare l'imprevisto di un’incognita grave, senza dover improvvisare troppo.

Un’altra linea difensiva che si sente spesso ricorre all’idea di «mal comune», evoca cioè le difficoltà analoghe che anche altri Paesi hanno dovuto affrontare. Ciò è vero solo parzialmente, perché - come noto - non tutte le nazioni si sono fatte trovare disarmate. E spesso laddove è accaduto è andata crescendo la richiesta politica e sociale di far luce sulle dinamiche e sulle responsabilità all’origine del fallimento della prevenzione. E talvolta qualcuno fra i responsabili ha chiesto pubblicamente scusa o ha lasciato l'incarico.

La stessa Francia, che non è propriamente un modello in fatto di trasparenza della cabina di regia statale, ha istituito una commissione d’inchiesta al Senato sulla gestione della crisi covid. Il rapporto conclusivo, diffuso pochi giorni fa, lancia accuse precise alla politica e alla tecnocrazia.

Fra le altre si additano le responsabilità del direttore generale del ministero della sanità, Jerome Salomon (peraltro tuttora difeso senza indugi dal governo), per la penuria di mascherine dovuta a mere scelte di bilancio che hanno decimato le scorte previste in precedenza (e distrutte perché «vecchie») lasciando a mani nude gli operatori sanitari.

«Mentre ce n’erano 754 milioni a fine 2017, lo stock strategico di mascherine chirurgiche ne conteneva soltanto 100 milioni a fine 2019», scrivono i senatori sulla scorta delle informazioni raccolte nelle audizioni scolte nei mesi scorsi. Giustificarsi spiegando che c'erano centinaia di milioni di mascherine che sono invecchiate senza essere state usate non è coerente col principio stesso di piano di emergenza: va da sé che se l'allarme non scatta i dispositivi restano inutilizzati, ma se invece servono e si scopre che li avevi mandati al macero senza sostituirli, abbiamo un problema.

Anche in Italia appare crescente l’urgenza di illuminare i processi politici e tecnocratici, le decisioni, i ritardi, le negligenze e la bontà delle misure via via adottatte a livello centrale nella gestione pandemica.

Per ora, invece, siamo di fronte a uno scenario che a Roma sembra dominato da un’opacità e da acrobazie dialettiche e normative che vengono solo parzialmente compensate da qualche iniezione di trasparenza che faticosamente diverse autonomie locali (non tutte, come ben sappiamo...) tentano di assicurare ai cittadini.

Nel frattempo, a quasi un mese dall'invio della petizione al capo del governo, ci risulta sia ancora in attesa di una risposta ufficiale la campagna #datibenecomune, che chiede trasparenza sui vari indicatori statistici riguardanti l'evoluzione della pandemia in Italia, in modo da consentire a ricercatori, giornalisti e cittadini in generale di accedere a informazioni tenute inspiegabilmente riservate o condivise soltanto con singole istituzioni sulla base di intese private con gli organismi statali.

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