Covid, c'è il vaccino russo Continuano test in altri Paesi Italia, dibattito sull'obbligo

Prima del colpo di reni da parte della Russia, che a quanto riportano le autorità di Mosca ha tagliato il traguardo della registrazione per prima, la corsa al vaccino contro il Sars-Cov-2 vedeva un testa a testa tra Usa, Cina e Gran Bretagna, le uniche che avevano in corso test di fase 3, quelli decisivi prima dell’autorizzazione al commercio.
Secondo il monitoraggio dell’Istituto Superiore di sanità, al 27 luglio erano 44 gli studi in corso su una trentina di vaccini in tutto il mondo, di cui appunto quattro in fase 3, due cinesi, uno britannico, e uno statunitense.

Sin dalle prime fasi della pandemia la corsa al vaccino non ha coinvolto solo laboratori e corsie di ospedali, ma anche la politica, con ad esempio il presidente Usa Trump che già a marzo aveva cercato di accaparrarsi quello prodotto dalla tedesca CuraVac. Sempre dagli Usa sono arrivate addirittura accuse alla Cina di tentativi di furto di dati dalle aziende farmaceutiche impegnate sul Covid, in un clima che ricorda molto quello della corsa allo spazio degli anni ‘60, come testimonia anche il nome di Sputnik dato dalla Russia al proprio vaccino.

Dai dati del monitoraggio del gruppo di lavoro ‘Clinical Trials’ dell’Iss il paese più avanti sembra essere la Cina, che ha 15 dei 44 studi registrati in corso e due vaccini in fase 3, quello di Sinovac e quello dello Henan Provincial Center. Al secondo posto ci sono gli Usa, con otto studi registrati e un vaccino, quello di Moderna, che è già nella fase 3, anche se le previsioni di Trump di averlo per le elezioni di novembre sembrano ottimistiche, secondo  quanto riporta la Cnn. Sono cinque invece gli studi britannici registrati di cui uno in fase 3.

Ad essere arrivato all’ultimo step è il vaccino sviluppato dall’università di Oxford e Astrazeneca anche con il contributo italiano. Quattro sono gli studi australiani, tre i canadesi, due i tedeschi e gli indiani e uno a testa per Belgio, Corea, Russia, Giappone e SIngapore. Alla corsa partecipa da pochi giorni anche l’Italia, con il vaccino messo a punto da Reithera che sarà testato allo Spallanzani di Roma.

Frattanto, in Italia Italia Viva e la ministra della famiglia, Elena Bonetti, lanciano una campagna per chiedere l’obbligatorietà dell’eventuale vaccino contro il coronavirus. «Il nostro Paese - scrive - è all’avanguardia nella ricerca, possiamo dimostrare di esserlo anche nella generosità e nella cura reciproca. Il vaccino anti-Covid è il modo che abbiamo per continuare a prenderci cura degli altri e a proteggere le persone che amiamo».

Si è liberi di vaccinarsi o meno, a patto che non si procuri un danno diretto ad altre persone. È questo il criterio giuridico che va tenuto presente e che può giustificare l’obbligatorietà del futuro vaccino anti-Covid, secondo Amedeo Santosuosso, professore di diritto, scienza e nuove tecnologie presso l’Università degli studi di Pavia, in relazione alle polemiche che si sono sviluppate in vista del suo arrivo.
«Siamo liberi di non vaccinarci, a patto di non causare un danno diretto alle altre persone. Se si vuole avere l’opportunità di andare a lavorare, e quindi di svolgere attività a contatto con altri a rischio di esposizione, l’obbligatorietà del vaccino è giustificata sia dal punto di vista giuridico che etico», rileva il giurista.

Quando sarà disponibile il vaccino anti-Covid, ci saranno molti aspetti da valutare, tra cui «il tipo di vaccino, la dose, le regole di somministrazione e la sua sicurezza - continua Santosuosso -, ma il criterio da tenere presente è sempre quello di evitare il danno diretto ad altri». In passato le polemiche con i gruppi No-vax vertevano sull’obbligatorietà dei vaccini nei bambini, ma nel caso del Covid-19 il tema riguarda gli adulti, «di cui si presuppone la ragionevolezza - conclude Santosuosso - Si può essere liberi, a patto di non esporre a rischi le altre persone».

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