In caso di infarto ogni minuto conta e 120 sono troppi

Un dolore al petto che si irradia al braccio sinistro: questo è il più tipico, ma non l’unico, sintomo dell’infarto. Per chi ne viene colpito, ovvero circa 140.000 persone ogni anno in Italia, ogni minuto è prezioso, ancor più di quanto si pensasse finora.

Nei casi molto gravi, infatti, per ogni 10 minuti di ritardo, 3 pazienti in più su 100 perdono la vita. Mentre la Golden Hour, ovvero le due ore di tempo considerate il limite entro cui intervenire per salvare il cuore, è ormai superata. A evidenziare l’importanza di soccorsi tempestivi sono nuovi dati scientifici, discussi a Matera in occasione della presentazione della campagna ‘Ogni minuto conta’, promossa da ‘Il Cuore Siamo Noi - Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus’, con il patrocinio della Società Italiana di Cardiologia (Sic).

La rapidità dei soccorsi in caso di infarto, come noto, è indispensabile.

«Sapevamo già - spiega Francesco Romeo, direttore della Scuola di Specializzazione in cardiologia Università Tor Vergata di Roma e presidente de Il Cuore Siamo Noi - che un intervento successivo ai 90 minuti dall’esordio dei sintomi può quadruplicare la mortalità. Gli ultimi studi hanno dimostrato però che non esiste in realtà un ‘tempo soglia’ che permetta di discriminare tra intervento tempestivo o meno. La prognosi del paziente, invece, peggiora in maniera continua all’aumentare del ritardo nel trattamento».

E questo è ancor più vero per chi arriva in ospedale in condizioni gravissime: «in questi casi per ogni ritardo di 10 minuti si registrano ben 3 morti in più su 100 pazienti». Ma anche per chi arriva in condizioni meno gravi il ritardo ha un impatto negativo. «Più si indugia - aggiunge Ciro Indolfi, presidente Sic e direttore di Cardiologia dell’Università Magna Grecia di Catanzaro - maggiore è la quantità di muscolo cardiaco che viene perso, con importanti conseguenze nella qualità di vita. Il tempo è muscolo».

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