Vincere insieme la battaglia contro l'alcol: a Pergine la riunione provinciale dei Cub

 «L'importante è l'uomo, non l'alcol»: con queste parole di Vladimir Hudolin, medico di origine croata e fondatore del metodo dei club alcologici territoriali, bene si può riassumere quale sia il fulcro dell'attenzione dei numerosi club sparsi ormai in tutto il mondo.

Club Alcologici Territoriali e Club di Ecologia Familiare che sono presenti anche nel territorio dell'Alta Valsugana (sono 17 e seguono oltre un centinaio di famiglie) e che si ritroveranno a Pergine, al teatro comunale, per il 35° interclub provinciale dal titolo «Cambiare si può! L'esperienza come risorsa», domenica, assieme a tutti i club del Trentino: un momento per l'annuale consegna degli attestati e delle rose per gli anni di sobrietà, ma anche per dare voce agli stessi frequentanti, perché possano raccontare a tutti (la giornata è aperta alla cittadinanza) la loro esperienza.

Alle 14 è fissata l'accoglienza, alle 14.30 i saluti del presidente dell'Associazione Provinciale dei Club Alcologici Territoriali, Susi Doriguzzi, e del presidente dell'Acat Alta Valsugana, Gualtiero Gabrielli, mentre alle 15 si darà spazio alle testimonianze dirette; alle 16.30 il momento di consegna dei diplomi e delle rose, prima della conclusione con il buffet.

La storia dell'Acat Alta Valsugana comincia trent'anni fa, quando il professor Innocenzo Cignini, che aveva conosciuto il dottor Hudolin di persona, fondò il Club Aurora a Pergine. E già nel nome c'è la sintesi di questo percorso che l'intera famiglia è chiamata a seguire per accompagnare un proprio caro: un nome che evoca il sorgere del giorno, come l'inizio di un nuovo corso di vita, un corso duro perché all'inizio tutto è nero, poi si sta meglio, infine si sta bene.

Si affronta il problema dialogando, raccontandosi episodi, vicende, storie personali, sempre con il massimo della riservatezza: non si usano farmaci, perché il miglior farmaco è il clima di solidarietà, amicizia, condivisione e fiducia reciproca. E la «terapia» non ha scadenza.

«Conosco tante persone, anche all'interno dei club - racconta il presidente Gualtero Gabrielli - che fanno fatica a parlare anche dei risultati positivi ottenuti. E trovo quasi incomprensibile il fatto che, come spesso accade, provino vergogna proprio quando stanno facendo qualcosa di costruttivo per sé, finalizzato a un sano volersi bene e alla realizzazione di un percorso per risolvere dei problemi. Capisco la vergogna che si può provare quando si è nella dipendenza, ma per aiutare chi è in questo stato di fragilità, raccontare le proprie storie, anche dolorose, può essere la chiave che apre a una scelta di cambiamento».

I dati, riferiti all'Italia, non ci fanno certo onore: il primo bicchiere viene consumato in media a 11 anni, l'età più bassa di tutta l'Unione Europea; quasi un terzo degli adolescenti dichiara di ubriacarsi e l'apice si tocca nella fascia dei «giovani adulti», fra i 21 e 29 anni. certo, non tutti diventano etilisti ma l'alcol è anche la prima causa di incidenti mortali.

L'importante, come dice il poeta libanese Gibran, è «parlarne perché l'alcol non è una malattia, ma un errato stile di vita all'inizio spesso sottovalutato; parlarne vuol dire riconoscere che il problema c'è, che è il primo gradino, il più difficile da salire, per tornare a vedere la luce della vita». 

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